Di Lorenzo Rosoli - Avvenire
Una comunicazione «abitata dall'inquietudine». Che sappia aiutare «chi legge a orientarsi». Che sappia favorire «la costruzione del bene comune ». Che sappia raccontare il male, ma anche «storie di speranza».
Ecco la missione e la responsabilità del giornalista e di chiunque si occupi di comunicazione secondo l'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, così come è suggerito nella «lettera agli operatori della comunicazione» intitolata Da grande vorrei fare il giornalista (Centro Ambrosiano, 18 pagine, 2 euro), consegnata ai giornalisti, agli studenti delle scuole di giornalismo e ai comunicatori delle parrocchie ambrosiane in occasione del recente Giubileo diocesano del mondo della comunicazione.
Nel breve testo Delpini si mette nei panni di un giovane che sogna di diventare giornalista ed entra in dialogo con alcuni interlocutori, ricevendo consigli e indicazioni.
A partire da quelli del suo «prof».
Che gli dice: sì, «è un'ottima idea», voler essere giornalista. Ma sappi che dovrai «sapere scrivere e parlare bene», e mai «smettere di imparare, migliorarti, approfondire, farti delle domande».
Il giovane bussa poi alla porta di un direttore di giornale. Che non solo gli apre gli occhi sulle difficoltà a entrare nel mondo della comunicazione e come spesso «si viene pagati poco e male, se si viene pagati» ma gli ricorda che «un buon giornalista deve avere un'etica. Deve sapere che la notizia può fare molto bene e fare molto male». Verificare sempre le fonti, «stare tra la gente» e «andare per le strade» coltivando «simpatia» per l'umanità, sono gli altri suggerimenti del direttore.
Fra gli interlocutori del giovane c'è anche un certo don Mario.
Che lo incoraggia: «Ottima idea», voler essere giornalista. «C'è bisogno di ragazzi e ragazze come te, che desiderino servire il bene comune, che abbiano il coraggio di servire la speranza, che abbiano voglia di cercare la verità». Il suo consiglio: se vuoi vivere questo lavoro «come missione, dovrai dare spazio alla parte buona, positiva, promettente della realtà. Alla virtù che genera virtù, alla bontà che genera bontà, alla speranza che genera speranza». A incoraggiare il giovane è anche la cantante dei suoi sogni. Che gli parla del rapporto, delicato e complesso, fra i mondi dello spettacolo e della comunicazione. Quindi: «Ti prego gli chiede , se tu vuoi essere giornalista rispetta la vita privata dei personaggi, lascia che siano persone». E «parla delle mie canzoni e dei miei pensieri, non del vestito che porto».
Delpini mette in dialogo l'aspirante giornalista anche con padre Clemente Vismara (18971988), una vita intera nel Myanmar. E con papa Francesco. «Se tu vuoi fare il giornalista, non prenderti la responsabilità di creare paure inutili e divisioni rovinose. Piuttosto suggerisce il missionario del Pime, beatificato nel 2011 aiuta a conoscere, a stimare, a imparare da tutti. Un buon giornalista non deve fomentare paure, accentuare le differenze, sottolineare le distanze.
Al contrario, deve favorire l'incontro, il confronto, la voglia di incon-trarsi, non di scontrarsi». Quindi ecco Delpini attingere al discorso di Francesco ai partecipanti al Giubileo della comunicazione (25 gennaio 2025). «Non tutte le storie sono buone e tuttavia anche queste vanno raccontate. Il male va visto per essere redento; ma occorre raccontarlo bene per non logorare i fili fragili della convivenza», disse il Papa. Che lanciò un appello «ai comunicatori di tutto il mondo: raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi».
Alla fine Delpini condivide alcune riflessioni in prima persona, alla luce della «conversazione immaginaria » offerta nella lettera.
«Credo che la comunicazione debba essere abitata dall'inquie-tudine», che «viene dal senso di responsabilità». Chi vive la comunicazione come servizio «non può evitare di domandarsi: quello che comunico è veramente importante? Aiuta chi legge a orientarsi? Favorisce la costruzione del bene comune?». Il senso di responsabilità in un mondo della comunicazione segnato da molteplici, potenti condizionamenti economici e ideologici non venga vissuto in solitudine ma in «alleanza con gli altri». Così si potrà affrontare meglio la necessità di «vigilare» perché il comunicare non sia «asservito» o «mercenario ». L'ultimo passo della lettera è per esprimere «apprezzamento», «incoraggiamento» e «grande stima » per chi vive il mestiere di comunicatore «come nobile servizio per il bene comune», cercando di «rendere più felicemente abitabile la nostra terra» e «desiderabile vivere in questa società », provando «con impegno e dignità, a dedicarsi al futuro di tutti».
(da Avvenire, 10 giugno 2025)