25 gennaio 2023

La necessità di un giornalismo costruttivo

 

di Gerolamo Fazzini

 

«Si lasciò toccare e interrogare dai grandi problemi insorgenti del mondo e dal modo nuovo di osservarli (...) In breve, si accorse di un vero “passaggio d’epoca”, cui occorreva rispondere attraverso linguaggi antichi e nuovi». Così, nella Totum amoris est del 28 dicembre scorso, pubblicata in occasione dei 400 anni della morte di san Francesco di Sales, Papa Francesco parla di colui che il 26 gennaio 1923, esattamente 100 anni fa, Pio xi proclamò patrono dei giornalisti cattolici.

Nel messaggio per la 57a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali Papa Francesco addita di nuovo san Francesco di Sales (che «ci ricorda che “siamo ciò che comunichiamo”») a modello di una comunicazione autentica: «Comunicare cordialmente vuol dire che chi ci legge o ci ascolta viene portato a cogliere la nostra partecipazione alle gioie e alle paure, alle speranze e alle sofferenze delle donne e degli uomini del nostro tempo». Se, dunque, la capacità di sintonizzarsi con il proprio tempo rappresenta il primo requisito per un giornalista cattolico, come leggere la grave crisi dell’informazione sotto i nostri occhi? L’ultima edizione del più autorevole studio a livello internazionale sullo stato dell’informazione — il “Digital news report”, curato dal Reuters institute for the study of journalism — documenta, in primis, un fatto allarmante: oggi il 38 per cento della popolazione sceglie di non informarsi. Il che stupisce non poco, se pensiamo alla situazione globale in cui siamo immersi e che esigerebbe un’opinione pubblica informata e consapevole. E invece.

Ma perché le persone evitano di informarsi? Le motivazioni principali sono forse facilmente intuibili (un sondaggio informale fra i miei studenti del corso di Disciplina delle arti, dei media e dello spettacolo in “Cattolica” a Brescia ha dato gli stessi risultati), ma il Reuters institute for the study of journalism lo certifica con la forza dei numeri: oltre al sovraccarico informativo, che genera un eccesso di fatica negli utenti, e alla sensazione di diffusa parzialità dell’informazione, che incrina il rapporto di fiducia con i giornalisti, il 36 per cento degli intervistati (la percentuale più rilevante) afferma che le notizie hanno un effetto negativo sul loro umore. Commenta Nic Newman, giornalista e consulente del “Digital news report”: «La crisi ucraina, e prima di essa la pandemia di covid-19, hanno ricordato alle persone il valore di un resoconto accurato e corretto che si avvicini il più possibile alla verità, ma la natura travolgente e deprimente delle notizie, sentimenti di impotenza e dibattiti tossici online stanno allontanando molte persone dall’informazione».

Terapie? Papa Francesco ne indicava una, decisiva, nel suo discorso al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti il 22 settembre 2016: «Compito del giornalismo (...) è dunque — attraverso l’attenzione, la cura per la ricerca della verità — (...) favorire la costruzione di una vera cittadinanza». Il Papa, in altri termini, invita a puntare su un “giornalismo civile”, che considera il destinatario non come il mero terminale di un’operazione economica, bensì come cittadino, titolare di diritti e doveri e membro di una comunità. Un giornalismo che informa, racconta il reale in maniera onesta e fedele ma che, ancor prima, sa ascoltare e dialogare. Proprio nello stile di san Francesco di Sales. Durante la plenaria del Dicastero per la comunicazione il 12 novembre 2021, il Papa contrappose la filosofia «dell’altoparlante» (una comunicazione unidirezionale, che «non serve») a quella «del telefono», attenta «alla reazione che provoca». Un’informazione che si fa davvero carico del suo pubblico non può quindi non interrogarsi sul prevalere, quasi ossessivo, delle bad news sulle good news. Una spirale che, alla lunga, produce sentimenti negativi — qualunquismo, rassegnazione, senso di impotenza — dentro la società.

È tempo, allora, di un deciso cambio di rotta. Al giornalismo di inchiesta e di denuncia, da sempre spina dorsale di un’informazione al servizio dei cittadini, oggi si va affiancando sempre più un giornalismo costruttivo, che prova a offrire soluzioni e buone pratiche accanto alla rivelazione di scandali e alla denuncia dei problemi. Di recente sul New Yorker Elisabeth Kolbert ha scritto, in merito alla narrazione dei cambiamenti climatici e dei loro effetti: «Una dieta a base di cattive notizie porta alla paralisi, che produce altre cattive notizie. Quello che serve, invece, sono narrazioni che “diano alle persone la possibilità di agire”». La soluzione, quindi, non consiste nel seguire il consiglio del sociologo svizzero Rolf Dobelli Smetti di leggere le notizie, come suona il titolo del suo provocatorio libro del 2019, quanto piuttosto «comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo», come sosteneva Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2017. «Credo ci sia bisogno di spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle “cattive notizie”». Il punto, allora, non è censurare il male, bensì promuovere, come auspica Francesco, «uno stile comunicativo (...) che cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia».

L’impatto sociale di ciò che si comunica — fa capire Papa Francesco — è un parametro fondamentale per valutarne il valore. Un criterio che si può applicare all’intero mondo della comunicazione, ma soprattutto a chi fa informazione. Citando san Francesco di Sales, Papa Francesco, sempre nel messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, sottolinea che «i suoi scritti (...) suscitano una lettura “sommamente piacevole, istruttiva, stimolante”». E commenta: «Se guardiamo oggi al panorama della comunicazione, non sono proprio queste le caratteristiche che un articolo, un reportage, un servizio radiotelevisivo o un post sui social dovrebbero soddisfare?». Un esercizio per testate “buoniste” o per i soli giornalisti cattolici? Nient’affatto. Commentando, nella newsletter Ellissi del 23 settembre scorso un editoriale del New York Times dal titolo “I nuovi vaccini sono una notizia fantastica, ma in pochi ne hanno sentito parlare”, il giornalista e digital strategist Valerio Bassan osservava: «I fatti non smettono di avvenire, ovvio: se comunicati male, però, il loro impatto sulla società diminuisce». Ecco il punto: il male c’è, ma esiste anche tanto bene ed è giornalismo civile quel che si preoccupa di veicolarlo. Se, infatti, il bene non diventa notizia è come se non esistesse. Un grosso guaio, per tutti. 

 

 

(Da L'Osservatore Romano, 25 gennaio 2023)