30 maggio 2025

«Il linguaggio che usiamo costruisce una cultura in cui può prevalere il paradigma della guerra o il paradigma della pace». Il suo Dicastero, un team di 70 nazioni e 50 lingue.

(Originariamente pubblicato su Famiglia Cristiana)

 

A capo di un Dicastero strategico della Santa Sede, quello per la comunicazione, prefetto dal 2018 per volontà di papa Francesco, confermato nel ruolo da papa Leone XIV donec aliter provideatur, "finché non si provvederà diversamente", Paolo Ruffini è stato invitato dagli organizzatori a partecipare al Festival della comunicazione. Il suo è un punto di vista privilegiato per rileggere la rappresentazione mediatica degli eventi storici di cui siamo stati testimoni, la morte di papa Francesco e l'elezione di Leone XIV.

Dottor Ruffini, Francesco nel suo ultimo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali intitolò il primo paragrafo "Disarmare la comunicazione". Leone XIV, appena eletto, ha parlato di "una pace disarmata e disarmante". Come possiamo disarmare la comunicazione e adoperarci per la pace attraverso il linguaggio?
Papa Francesco ha avuto e Leone XIV ha la consapevolezza del tempo in cui viviamo: un tempo di guerra, anche se non tutti se ne rendono conto. Le parole di entrambi ci dicono una cosa soprattutto: la ricerca della pace non è una cosa che riguarda altri, costruire la pace riguarda ognuno di noi, nel ruolo e nel luogo in cui ognuno si trova. Chiedere di "disarmare la comunicazione" o invocare "una pace disarmata e disarmante" significa dire a ognuno di noi che le parole che usiamo costruiscono una cultura in cui può prevalere il paradigma della guerra e dello scontro o il paradigma della pace e dell'incontro. Che uso facciamo delle parole nei nostri racconti?
Siamo chiamati a un atto di responsabilità, e a purificare il nostro linguaggio dai pregiudizi, dai fanatismi, da tutto quello che impedisce la comunicazione.

Tra i due Papi c'è stato un passaggio di testimone nel discorso sulla comunicazione?
Se andiamo alle radici del cristianesimo e ci domandiamo cosa vuol dirci san Paolo quando scrive "Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità" (Ef 4,31), scopriamo che i due Papi ci hanno richiamato a un insegnamento antico. Lo stesso al quale si richiamava Sant'Ignazio quando distingueva tra ciò che ci avvicina a Dio e ci porta alla consolazione e ciò che invece ci allontana da Dio e non ci fa vivere in pace. Sant'Agostino quando parlava della verità ammoniva anche a fuggire dalla tentazione di manipolarla attraverso la retorica. Siamo dentro a una lezione sulla comunicazione consustanziale al cristianesimo.

Da Prefetto per la comunicazione lei ha vissuto la fine di un papato intenso e l'avvento di un nuovo Pontefice portatore di grandi speranze. Cosa ha cercato di comunicare in un periodo così ricco di eventi straordinari?
Il Dicastero è una grande comunità fatta di persone che vengono da una settantina di nazioni e che parlano più di 50 lingue, una squadra al servizio della Chiesa e, nella Chiesa, con la Chiesa, al servizio del mondo.
Il nostro principale obiettivo è capire in che modo la nostra comunicazione possa costruire la comunione della Chiesa e offrire, anche ai non credenti, un ecosistema dove ciò che raccontiamo risponde a un solo obiettivo: condividere con sincerità la verità e una chiave di interpretazione cristiana della realtà dei fatti.
Come la pace anche la comunione comincia da noi stessi. Così dalla nascita del Dicastero abbiamo lavorato per rendere vera l'unità tra le diverse realtà che vi sono confluite: dalla Tipografia all'Osservatore Romano, alla Sala stampa, alla Radio Vaticana e così via. E abbiamo fatto uno sforzo su noi stessi per fare in modo che questa non fosse una banale sinergia funzionale, ma fosse una comunione di intenti.

Quali sono le sfide più urgenti da affrontare come Dicastero per la comunicazione?
Entrambi i Papi hanno posto il tema della sfida dell'Intelligenza ar tificiale e di come gestirla. Entrambi hanno parlato dell'importanza dell'ascolto e del rapporto fra la comunicazione e la carità. Noi ci siamo chiesti anche come usare i social media senza avere quella che papa Francesco ha chiamato "la dispersione programmata dell'attenzione", evitando di pensarli come un mondo a parte. Dobbiamo tentare di far sì che la comunicazione sia al servizio dell'uomo; rispetti la dignità di ogni persona umana e che la comunione nella Chiesa sia essa stessa uno strumento di comunicazione.
Nei giorni dell'elezione di papa Leone tutto il mondo dell'informazione si è riversato a Roma...
Il nostro Dicastero ha tanti incarichi, tra cui anche quello di cercare di servire al meglio i giornalisti in tutto il mondo, in queste settimane ne abbiamo accolti più di 6 mila. L'universalità della Chiesa di Roma è anche nell'offrirsi al mondo e nell'ascoltare il mondo, è anche così che la comunicazione diventa strumento di comunione.

Quali differenze intravvede nel modo di comunicare di Francesco e Leone XIV, pur avendo visto ancora poco di quest'ultimo?
Preferisco partire da cosa li accomuna, cioè l'autenticità con cui si mostrano ai fratelli e alle sorelle nella fede; che ha fatto dire all'uno "sono qui senza alcun merito", e all'altro "ricordatevi di pregare per me". Affidarsi alla bellezza della comunione tra di noi è il più grande strumento di comunicazione e di preghiera.