La Chiesa di fronte all'attuale fenomeno dell'“intelligenza artificiale”
Paolo Ruffini: “Ora più che mai abbiamo bisogno di trovare alla tecnica un fondamento etico, antropologico e sapienziale; di ribaltare il teorema secondo cui tutto ciò che è possibile sia giusto, per domandarci invece come fare affinché ciò che è giusto sia possibile. Solo una relazione fondata sull’amore può durare, può renderci felici. Qui risiede la radice di ogni comunicazione. Qui si trova anche la sfida per la Chiesa di costruire, anche attraverso l’ intelligenza artificiale, una rete di comunicazione fondata sulla comunione che ci unisce, sulla verità che ci rende liberi, sull’amore che tutto spiega”.
Queste le parole del Prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini, a conclusione della sua Lectio Magistralis con motivo del centenario del Diario Católico di Venezuela.
La celebrazione di questo centenario è stata l‘occasione di un Congresso di comunicazione che si è tenuto dal 13 al 17 di maggio nell’Università Cattolica di Táchira, a San Cristóbal (Venezuela), in cui il Dott. Ruffini ha analizzato le sfide che le nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale presentano alla comunicazione della Chiesa.
Dopo aver ringraziato il Vescovo di San Cristóbal, Mons. Mario Moronta Rodríguez, per l’organizzazione dell’incontro, Ruffini ha ricordato l’interesse di Papa Francesco per lo sviluppo dell’IA. Questa preoccupazione si riflette nei due Messaggi che ha già dedicato a questo argomento -per le Giornate Mondiali della Pace e delle Comunicazione Sociali-, così come nella promozione dei lavori sull’Algoretica attraverso la Pontificia Accademia per la Vita e nella sua prossima partecipazione nel G7 di giugno.
Una divergenza inedita e pericolosa
Il Prefetto Ruffini ha ribadito che “l’intelligenza artificiale può farci fare balzi in avanti in tutti i campi, dalla società al lavoro, dalla medicina all’agricoltura fino al tempo libero”, come effettivamente sta già succedendo.
Tuttavia, al contempo, l’uso di queste tecnologie apre la porta a nuovi rischi; il primo è che si creino nuove esclusioni: “Dopo aver sperimentato l’ingiustizia della divergenza digitale/digital divide, in futuro potremmo soffrire l'emergere di una altra divergenza IA/AI divide, inedita e pericolosa, tra coloro che utilizzano l’intelligenza artificiale e coloro che non lo fanno”.
Non meno preoccupante è la possibilità che gli esseri umani “finiscano con l’essere considerati mere estensioni delle macchine”. La sfida oggi “non è solo stare al passo con lo sviluppo tecnologico, ma non perdere il respiro umano in questa corsa, non soffocare il soffio divino che è in noi”.
Né intelligenti né artificiali
Bisogna non perdere mai di vista che gli algoritmi della intelligenza artificiale, basati sul calcolo delle probabilità, “non sono in realtà né intelligenti né artificiali… La smisurata potenza della intelligenza artificiale sta nella sua capacità di calcolo e nella sua capacità di tradurre tutto in calcolo”. Ma proprio qui sta anche il suo limite: non tutto può essere calcolato perché non tutto può essere ridotto a un numero; c’è anche ciò che è unico, ciò che è infinito. Le macchine, perciò, non possono darci la vera sapienza, che è - ha detto Ruffini citando Papa Francesco- “la grazia di poter vedere ogni cosa con gli occhi di Dio”.
Dunque, ha affermato Ruffini, bisogna domandarsi “come gli algoritmi e le macchine che li elaborano possano essere al servizio dell’uomo, della verità, della conoscenza, della presa di coscienza, della bellezza e della loro condivisione” e, allo stesso tempo, come evitare che essi “contribuiscano invece a creare un sistema di dominio”.
Un fondamento etico per la tecnologia
Per quanto riguarda la comunicazione, “mentre l’impatto dell’intelligenza artificiale nel breve periodo dipende da chi la controlla, quello a lungo termine dipende dal fatto che possa essere controllata o meno”.
La questione è “se e come lo sviluppo delle intelligenze artificiali nella comunicazione possa aiutarci a diventare più umani o possa spingerci a svalutare la nostra umanità. È come questo strumento renderà più forti e più vere le relazioni fra gli individui e più coese le comunità, e in che modo invece aumenterà la solitudine di chi già è solo, privando ognuno di noi di quel calore che solo la comunicazione vera può dare”.
Altra questione essenziale risiede nella “possibilità o impossibilità di lavorare affinché l’intelligenza artificiale porti più eguaglianza e non costruisca invece nuove caste basate proprio sul dominio informativo”, e non crei “nuove forme di sfruttamento e di diseguaglianza fondate sul possesso degli algoritmi”.
In definitiva, tutto sta “nel porsi o nel non porsi delle regole e dei limiti”. Ora più che mai “abbiamo bisogno di trovare alla tecnica un fondamento etico, antropologico e sapienziale, di ribaltare il teorema secondo cui tutto ciò che è possibile sia giusto, per domandarci invece come fare affinché ciò che è giusto sia possibile”.
Il giornalista cattolico oggi
Nel contesto attuale, per Ruffini, i comunicatori cattolici devono essere “cercatori di una verità che ci trascende, che nasce dalla relazione, dall’ascolto” e che proprio per questo “può essere aiutata dall’ intelligenza artificiale”, ma non può essere “delegata al mero calcolo delle macchine; che pretendono di sapere già tutto e di dover solo tirare fuori una sintesi dai dati che hanno immagazzinato”.
Fondamentale è anche al giorno d’oggi domandarsi come tutelare la professionalità e la dignità dei comunicatori, come rivendicare l’importanza della professione e della formazione che la riguarda e come rimettere al centro la persona in quanto destinataria della comunicazione. A proposito di quest’ultimo punto, Ruffini ha sottolineato che “c’è una dignità non mortificabile degli utenti”, per cui non possono essere ridotti a “giacimenti” di dati da sfruttare.
Tenendo conto di tutto questo, il giornalista cattolico oggi deve impegnarsi “per una libertà vera, per una sapienza umana”. Quello che gli viene chiesto è “leggere e narrare la storia con la intelligenza del cuore, con la sapienza dell’amore, senza confondere i mezzi con i fini, la verità con la menzogna, la capacità di calcolo con la capacità di ascolto. Quello che ci è chiesto è rimanere umani. E diventarlo sempre di più”.
Senza mai dimenticare che “ci sono e sempre ci saranno cose che la tecnologia non può sostituire. Come la libertà. Come il miracolo dell’incontro fra le persone. Come la sorpresa dell’inatteso. La conversione. Lo scatto dell’ingegno. L’amore gratuito”. Solo così, ha concluso il Prefetto Ruffini, potrà esserci vera comunicazione. La Chiesa potrà vincere la sfida di costruire, “anche attraverso la intelligenza artificiale, una rete di comunicazione fondata sulla comunione che ci unisce, sulla verità che ci rende liberi, sull’amore che tutto spiega”.
Nell'ambito delle celebrazioni del Centenario, il 14 maggio scorso è stato inaugurato il nuovo Centro di Produzione Audiovisiva del Diario Católico, evento a cui ha partecipato il Prefetto Ruffini, che ha anche visitato la Scuola di Comunicazione Sociale dell'Università di Los Andes, dialogando con professori, studenti e responsabili di comunicazione di tutto il Venezuela.