18 marzo 2022

L’esigenza di un’etica della comunicazione

A colloquio col professor Davide Bennato

 

di LUCA M. POSSATI

 

Il tema del ruolo dei social media nella crisi ucraina non può essere compresso se non lo si inserisce in un contesto più ampio e complesso, quello della trasformazione tecnologica, sociale e antropologica degli ultimi vent’anni. «I social media sono nati per un duplice scopo: da un lato, mettere insieme le persone in modo tale da potersi scambiare i contenuti, opinioni, foto, immagini, testi, dall’altro produrre questi contenuti in maniera sempre più semplificata, come con YouTube o Tik Tok. Che cos’è successo? È successo che le persone hanno iniziato a usare sistematicamente questi strumenti per interazioni sociali e non solo» afferma il professore Davide Bennato, esperto di sociologia dei nuovi media presso l’Università di Catania. «Piano piano anche le istituzioni hanno iniziato a usare tali strumenti per vari scopi, come la comunicazione politica o per dare informazioni ai cittadini. Questo ha fatto sì che le piattaforme diventassero sempre più potenti perché riuscivano a tenere sotto controllo i due elementi del loro successo: le persone, cioè l’interazione sociale, e il sistema economico che usa i dati prodotti per fini di marketing».

Questo ha avuto anche conseguenze da un punto di vista identitario. Una parte della nostra identità è plasmata da questi strumenti. «Noi oggi esistiamo come esseri sociali grazie anche alle opportunità di interazione permesse da queste piattaforme. Le piattaforme hanno creato un nuovo spazio di interazione intermedio tra lo spazio pubblico e lo spazio privato. Creando questo terzo spazio hanno fatto nascere nuove culture, nuove strategie d’interazione, nuovi modi d’uso. Siamo sempre di più una società che, per certi versi, è sempre più dipendente da queste piattaforme. Per fare certe cose abbiamo bisogno di avere una connessione internet e un certo tipo di piattaforme. Non è un punto di vista pessimistico il mio: le piattaforme sono uno strumento utile se usate in termini di opportunità».

Dobbiamo sviluppare una coscienza dell’uso di questi mezzi. Ma come? «Dopo 23 anni di uso e sviluppo di social, noi ancora non siamo educati a usare tali piattaforme. Non c’è un percorso educativo, un confronto pubblico» dice Bennato. «Usiamo questi strumenti senza avere la piena consapevolezza di che cosa questi strumenti rappresentano per noi. Un esempio tipico sono le nuove generazioni che usano queste piattaforme in maniera sistematica, in modo creativo anche, ma senza rendersi conto che spesso lasciano dati e che ci possono essere problemi di sicurezza. Va detto che molto spessi neanche gli adulti hanno gli strumenti culturali per usufruire pienamente di questo nuovo spazio di interazione sociale. Un esempio emblematico è quello dei genitori che mettono sui social i propri bambini. Questi genitori – e non dipende dal livello culturale – non si rendono conto che lo scambio con la piattaforma andrebbe negoziato. Bisogna rendersi conto che i contenuti immessi nelle piattaforme sono praticamente eterni, non possono essere cancellati. Come società non abbiamo mai riflettuto a sufficienza che l’integrazione in queste piattaforme ha benefici, ma anche danni».

Una strategia educativa globale sarebbe di cruciale importanza, dunque. Ma in che modo sviluppare un autentico dibattito che tenga conto di tutte le esigenze? Che tipo di comunicazione dobbiamo usare con questi nuovi strumenti? Che tipo di etica dobbiamo adottare? «La prima cosa sulla quale riflettere dovrebbe essere che dietro ogni comunicazione c’è una struttura tecnologica. Dunque, capire la struttura tecnica di questi strumenti è un presupposto per sviluppare comportamenti più consapevoli e sicuri. C’è poi un altro livello, quello del rispetto altrui: fino a che punto è legittimo che io faccia sapere a una terza persona quello che sta facendo un’altra – ad esempio postando una sua foto? Dobbiamo riflettere sulla possibilità di un’etica della comunicazione digitale».

Il problema allora diventa: com’è possibile coniugare etica e algoritmo? Se le piattaforme sono spazi interattivi, ebbene gli scambi non avvengono soltanto tra agenti umani, ma anche tra umani e macchine. Se la macchina è il mediatore essenziale, come possiamo rendere questo mediatore etico? «La cosa migliore da fare è creare un’opinione pubblica informata. Dobbiamo riflettere ad alta voce su queste cose. Vivendo in un contesto sociale profondamente frammentato — non c’è più un unico modo di vivere la vita — è opportuno confrontarsi e usare al meglio il dibattito» sostiene Bennato.

Sul piano geopolitico la cosa diventa ancor più complessa. Queste piattaforme impongono nuove forme di socialità e politica, e quindi anche potere politico, che però non sono fondate su alcun tipo di contratto sociale. «Questo è il grido di allarme che abbiamo fatto noi studiosi delle piattaforme digitali da tanto tempo. Dovevamo pensarci prima. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, la situazione è più complessa. In un mondo plasmato dalle piattaforme digitali, la scacchiera sulla quale si muovevano gli stati-Nazione è completamente cambiata» afferma il professor Bennato. In effetti, sembrano incrociarsi logiche molto distanti tra loro: una logica che appartiene ancora al Novecento, quella della Guerra Fredda, e una logica nuova, quella del digitale, che invece è ancora tutta da scoprire. «Il mondo globalizzato è molto più interconnesso. E questo sia sul piano commerciale, sia sul piano relazionale. Il mondo è diventato più complesso perché le piattaforme digitali hanno velocizzato alcuni processi già esistenti, rallentato altri, ma soprattutto ne ha creati di completamente nuovi».

 

 

(Da L'Osservatore Romano, 18 marzo 2022)