di Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
“Diversi e uniti. Com-unico quindi sono”. È questo il titolo di un nuovo volume edito dalla Libreria Editrice Vaticana - Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. Il volume, il terzo della collana "Scambio dei doni", di taglio ecumenico, è arricchito da un testo inedito di Papa Francesco sulle relazioni umane intitolato “Con lo sguardo di Gesù”. Come per i primi due volumi - che recano prefazioni di due firme illustri, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e il Patriarca di Mosca Kirill - anche in questa occasione gli scritti del Papa sono introdotti da un leader della cristianità, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate di tutta l’Inghilterra e capo della Comunione anglicana nel mondo, il quale soffemandosi analogamente a Francesco sul tema delle relazioni umane riconosce come più belle e più fruttuose quelle “fondate sull’amore che Dio ha per noi”.
Con lo sguardo di Gesù
I tanti incontri di Gesù lungo il suo cammino per le vie della Palestina sono illuminati da uno stesso sguardo, carico di amore verso ogni uomo. “Pensiamo - scrive Francesco - alla chiamata di Matteo (fissato con uno sguardo di elezione e insieme di misericordia), al dialogo notturno con Nicodemo, o a quello presso il pozzo di Giacobbe con la samaritana, e forse anche quelli più rapidi con la donna cananea e con Zaccheo. Di sicuro quello sguardo è lo stesso con cui Gesù offre la sua guancia a Giuda chiamandolo ‘amico’, lo stesso sguardo con cui si volge verso Pietro mentre il gallo canta, e, anche se facciamo fatica a comprenderlo, è lo stesso sguardo con cui osserva silenzioso il misero spettacolo del re Erode che aspetta da lui qualche gesto miracoloso prima di rimandarlo deluso da Pilato. Anche nel dialogo con il procuratore romano Gesù lo avrà fissato con amore”. In questo sguardo di Gesù si scorge “la fede cristiana” che si fonda su questa affermazione: “Gesù – sottolinea il Papa - è di natura divina e Dio è amore”. Questo fondamento, scrive il Pontefice, “determina una serie di conseguenze e cambia tutto il modo di stare al mondo del cristiano”.
Comunicare e ascoltare
Alla base di ogni forma di comunicazione e di rapporto umano c’è la disponibilità all’ascolto dell’altro. “Senza quello sguardo d’amore la comunicazione umana, il dialogo tra le persone - osserva il Papa - può facilmente diventare soltanto un duello dialettico, quello sguardo rivela invece che c’è in ballo un’altra questione, vertiginosa, che non ha al centro il merito della discussione ma molto di più, il senso stesso dell’esistenza, mia e del mio interlocutore”. In questo senso, osserva il Pontefice, si deve apprendere “la lezione del santo cardinale John Henry Newman”. La sua riflessione “si è concentrata particolarmente sulla dimensione dell’immaginazione e della ‘disposizione’ del cuore che svolge un ruolo più importante rispetto a quello della ragione, affinché un uomo possa veramente essere toccato dall’esperienza della fede”.
L’Occidente recuperi dall’Oriente il senso della ‘poesia’
Nel libro - che esce in concomitanza con un importante anniversario ecumenico, il 25.mo della Ut unum sint di Giovanni Paolo II, pubblicata il 25 maggio del '95 - Papa Francesco in particolare si sofferma nel testo inedito sull’episodio del “giovane ricco” che chiede a Gesù cosa deve fare per ereditare la vita eterna. Il Papa ricorda un dettaglio, che definisce “decisivo”, presente solo nel Vangelo di Marco. L’evangelista scrive che “Gesù, fissatolo, l’amò”. “Soprattutto nelle società occidentali - scrive il Santo Padre - il verbo ‘fissare’, l’atteggiamento contemplativo sembra non avere più cittadinanza, essere sparito dal paesaggio quotidiano, nella vita di tutti i giorni”. “Nessuno fissa più nessun altro, anzi se questo accade scatta automatico un senso di disagio e una reazione come di fronte a un pericolo. Si è perso così qualcosa, nessuno guarda negli occhi l’altro, non si ‘sta’ uno di fronte all’altro, fermando per un attimo la corsa frenetica del tempo a cui siamo sottoposti”. Il Papa lega poi la propria riflessione ad un auspicio: “Pensando a questa condizione ho espresso, tornando dal viaggio in Asia lo scorso novembre, il mio auspicio che l’Occidente recuperasse dall’Oriente il senso della ‘poesia’, intendendo con questa bella parola proprio il senso della contemplazione, del fermarsi e donarsi un momento di apertura verso se stessi e gli altri nel segno della gratuità, del puro disinteresse. Senza quel ‘di più’ della poesia, senza questo dono, senza la gratuità, non può nascere un vero incontro, né una comunicazione propriamente umana”.
Le parole siano ponti
In un altro passaggio, Francesco si sofferma sulla relazione tra comunicazione e comunione. “Gli uomini ‘comunicano’ non solo perché si scambiano informazioni, ma perché provano a costruire una comunione. Le parole devono essere quindi come dei ponti gettati per avvicinare le diverse posizioni, per creare un terreno comune, un luogo di incontro, di confronto e di crescita”. Ma questo avvicinamento ha una sua “condizione di partenza”: quella di “essere disposti ad ascoltare con pazienza le posizioni dell’altro perché fissare, guardare presuppone accettare di essere fissati, guardati: nella comunicazione ci si offre uno all’altro”. Lo sforzo necessario in ogni occasione di comunicazione “è quello di viverla come un incontro vero e non superficiale che apra a un dialogo fecondo, generativo che metta in moto un dinamismo capace di scompigliare e trasformare le ‘pre-disposizioni’, in altre parole che apra alla conversione”.
Il coraggio del dialogo
Ricordando quanto affermato il 4 febbraio 2019 nell’incontro interreligioso al Founder’s Memorial di Abu Dhabi, il Papa aggiunge che il dialogo ha bisogno di coraggio. Un dialogo effettivo “presuppone la propria identità, cui non bisogna abdicare per compiacere l’altro. Ma al tempo stesso domanda il coraggio dell’alterità che comporta il riconoscimento pieno dell’altro e della sua libertà […] senza libertà non si è più figli della famiglia umana, ma schiavi. […] Il coraggio dell’alterità è l’anima del dialogo, che si basa sulla sincerità delle intenzioni […]. In tutto ciò la preghiera è imprescindibile: essa, mentre incarna il coraggio dell’alterità nei riguardi di Dio, nella sincerità dell’intenzione, purifica il cuore dal ripiegamento su di sé”. Identità e alterità, aggiunge il Santo Padre, esistono insieme: “un cuore ripiegato su di sé si ammala e si “incrosta” di scorie che ne impediscono il palpito sano e vivificante”.
Si ama solo nella libertà
Il riconoscimento dell’alterità “per essere ‘pieno’, deve aprirsi al riconoscimento della libertà dell’altro”. Questo punto, sottolinea il Papa, è cruciale. È ancora illuminante, scrive il Pontefice, quella frase di tre parole: “Fissatolo, lo amò”. “Gesù non guarda l’altro come uno ‘spettacolo’, ma come una persona, come un dono, come un essere che Dio ha voluto creare liberamente (per amore) e mettere sulla sua strada. Nel suo sguardo d’amore vi è già inserita la dimensione della libertà. Si ama solo nella libertà e solo l’amore vero rende e lascia liberi gli altri”. La libertà è per il Papa “il condimento essenziale per rendere pienamente umana l’esistenza delle persone sulla terra, e quindi anche ogni atto comunicativo. Senza la libertà non c’è verità, ogni relazione diventa finzione, ipocrisia, scivola nella superficialità o, peggio, nella strumentalizzazione”.
Possa lo sguardo di Dio posarsi sempre sulla nostra vita
Il Papa osserva infine che “amare vuol dire essere aperti al rischio. Gesù nel momento in cui fissa il giovane davanti a lui, non lo ‘squadra’ per trovare i suoi punti deboli, ma lo contempla come fosse appena uscito dalle mani creatrici di Dio Padre ed è felice della sua esistenza, lo ama appunto e lo chiama a superare tutte le prigioni e le ferite passate per un avvenire di pienezza, rispondendo così alla sua domanda sulla possibilità di una vita eterna”. “Possa lo sguardo di Dio posarsi sempre sulla nostra vita e noi, a nostra volta, entrando in relazione e comunicando con gli altri uomini, avere lo stesso sguardo di Gesù che ci fissa con gli occhi dell’amore gratuito e generoso fino alla totale donazione di sé”.