Roberta Barbi – Città del Vaticano
Le voci dei detenuti che passano ogni domenica mattina in radio finalmente diventano volti in cui è disegnata la sofferenza, ma anche occhi in cui brilla la speranza nutrita dalla fede. Diventano anche mani, da stringere forte, e corpi da abbracciare, come fratelli. È questa l’esperienza che hanno fatto nel carcere romano di Rebibbia il Prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini e il Direttore editoriale Andrea Tornielli che per la prima volta hanno varcato la soglia della casa di reclusione e incontrato gli ospiti che partecipano all’edizione natalizia de “Il Vangelo dentro”. Un desiderio fortissimo, quello di conoscersi, da entrambe le parti, che finalmente è divenuto realtà.
“La misericordia è per tutti”
Visitare un carcere è un’esperienza che smuove qualcosa nel profondo di noi stessi, suscita domande a cui non sempre si può dare una risposta, se non con la fede. Il motivo, secondo il Prefetto Ruffini, è che “tutti facciamo esperienza del male, ma anche la misericordia di Dio è per tutti, come ci ricorda Papa Francesco”. E la frase “La misericordia di Dio è infinita” è anche impressa sulla parete della cappella dedicata a Santa Maria del Cammino. Al Prefetto non è sfuggita: “Solo grazie alla misericordia del Signore e all’incontro con Lui nella fede si può ricominciare: questa è la testimonianza che ci danno i reclusi, ci ricordano i limiti umani, che sono poi il motivo per cui Dio si è incarnato nel Bambino Gesù”. Ruffini invita, poi, i detenuti, a ricordare il Natale di quando erano piccoli, per recuperare la purezza che è solo dei bambini, e assieme a loro rievoca i propri ricordi, in particolare quello di suo padre che gli spiegava il significato del Natale con le parole di don Primo Mazzolari.
“Perché loro sì e io no?”
Perché loro sì e io no? Riprendendo le parole del Papa, questa è, invece, la domanda che si fa il Direttore Tornielli ogni volta che entra in un carcere. Ai reclusi di Rebibbia racconta la sua esperienza nel carcere di Padova e il racconto di un detenuto che lo colpì molto, ricordandogli la pagina evangelica del Figliol Prodigo: questi, infatti, dopo aver fatto tanto male a suo padre, continuava a meravigliarsi di come lui lo abbracciasse ogni volta che tornava a casa in permesso premio. “In carcere più che mai certe pagine del Vangelo si percepiscono vive”, è la sua testimonianza.
“Qui il Vangelo risuona più forte”
Gli fa eco padre Matias Yunes, il sacerdote che ha guidato in questo periodo di Avvento le riflessioni dei detenuti partecipanti al progetto “Il Vangelo dentro” e che costituiscono una vera e propria redazione: “Tra queste mura è come se le parole del Vangelo risuonassero più vere”. Anche lui è alla prima esperienza con i reclusi di Rebibbia e il suo bilancio è positivo: “Condividere il Vangelo è sempre qualcosa di bello, ma in carcere diventa un’esperienza unica ascoltare come vada a toccare le corde più profonde del cuore di questi uomini”.
Il Vangelo “libera il cervello”
E anche per gli ospiti di Rebibbia che hanno partecipato per la prima volta a quest’iniziativa di evangelizzazione è stata un’esperienza importante: “Il Vangelo mi libera il cervello dai pensieri tristi della mia famiglia lontana e che vedo raramente”, racconta Vincenzo, che sottolinea quanto leggere la Parola del Signore sia come una medicina per l’anima che lo fa “stare tranquillo”. E al Vangelo, come alla sua fede, si sta aggrappando anche Sossio, che un mese fa ha vissuto la terribile esperienza della morte improvvisa della figlia Michela. Un’esperienza resa ancora più straziante dall’impossibilità di stare accanto alla propria famiglia in un momento come questo. La sua testimonianza lascia tutti in silenzio e con le lacrime agli occhi: “Sono dolori che non si possono spiegare – dice – l’unica spiegazione che mi sono dato è che serviva al Signore lassù. Al Signore servono gli angeli”. E a Michela tutta la redazione di Rebibbia de “Il Vangelo dentro” dedica l’edizione dell’Avvento in corso.