21 settembre 2023

Viaggio nella società delle reti

«ll primo libro di teoria dei media» di Ruggero Eugeni

 

di Dario E. Viganò

 

Arriva in questi giorni in libreria ll primo libro di teoria dei media, curato da Ruggero Eugeni per l’editore Einaudi (ebook, 2023, pagine XXXIV -278, euro 10,99). Il volume rappresenta un’introduzione estremamente chiara e completa agli studi e alle riflessioni che hanno accompagnato la nascita, lo sviluppo e le più recenti svolte dei mezzi di comunicazione. 

Due le caratteristiche del volume. Anzitutto, Eugeni e i suoi collaboratori mettono in atto un allargamento dei confini disciplinari della mediologia: agli approcci sociologici, psico-sociali, critici e culturali ai media, vengono infatti connessi tanto gli aspetti semiotici quanto (e questo è un elemento di indubbia novità rispetto a sintesi precedenti) la filosofia e l’estetica dei media. In secondo luogo, per quanto il dibattito storico venga tenuto in debito conto, è soprattutto il presente dei media digitali e algoritmici a occupare il centro della scena; contribuisce a questa caratteristica la particolare struttura del volume: dopo un’ampia introduzione storica, ciascuno dei venti capitoli che compongono il volume illustra in forma sintetica ma densa e documentata un tema caldo del dibattito presente, da Cittadinanza a Immagine e immaginario, da Rete a Sorveglianza, e così via. 

L’eredità delle teorie sui media viene insomma immediatamente reinvestita per comprendere il presente, incoraggiare un utilizzo consapevole e “tridimensionale” dei media contemporanei da parte di ciascuno di noi, e promuovere al tempo stesso una riflessione multidisciplinare allargata sui media contemporanei. 

Proprio a partire dal volume di Eugeni, è utile procedere a una riflessione, sia per riprendere e sviluppare un tema esplicitamente presente nel volume, sia per focalizzare due valenze più sottotraccia negli interventi del libro, ma a mio avviso meritevoli di esplicitazione.

Inizio da quanto emerge con chiarezza dal volume. Non c’è alcun dubbio che il punto di svolta che ha condotto ai media attuali, sia stato l’intervento congiunto e sinergico della digitalizzazione dei segnali da un lato, e dell’avvento della società delle reti dall’altro. Si tratta di un processo collocabile nella prima metà degli anni Ottanta del Novecento: da un lato il computer si trasformava, e da macchina di calcolo diveniva un metamedium in grado di “rimediare” e remixare tutti i media del passato; dall’altro, contemporaneamente, il personal computer (e più tardi il telefono cellulare, che di fatto è un micro-computer) diventava il nodo e il punto di accesso di una immensa rete di comunicazione a due canali, in grado cioè sia di scaricare che di richiedere dati, come anche di caricarne di nuovi. 

La nascita del Word Wide Web, nel 1991, sanciva l’avvento del nuovo ecosistema della comunicazione e costringeva i media precedenti a caricarsi del prefisso post (post-cinema, post-televisione, eccetera), segnale di una transizione irreversibile. Il nuovo assetto così com’è andato configurandosi, rende sempre di più i media degli ambienti, tecnologicamente attrezzati e alterati; ma, al tempo stesso, produce un ritorno di molte teorie degli effetti forti e immediati dei media che sembravano destinate a essere rinchiuse in soffitta: si pensi al ruolo dei social media nella Brexit o nella elezione del presidente Trump, nel 2016-2017. 

Tuttavia, molte delle voci che compongono il libro convergono sull’idea che la situazione attuale non si può far risalire semplicemente alla svolta digitale e all’avvento delle reti, ma che è tributaria di una ulteriore “svolta algoritmica” che si situa verso la fine degli anni Duemila e che oggi sta conducendo alle differenti forme di Intelligenza Artificiale quale nuovo medium. Al centro di questa nuova condizione sta l’inglobamento dei media all’interno della più ampia galassia della estrazione e del trattamento automatizzato dei dati: i media partecipano in misura determinante a quella “datificazione” della realtà che caratterizza il nostro tempo. Un processo spesso apparentato alla sorveglianza, ma che in realtà richiede nuove chiavi di lettura non ideologiche, per quanto pur sempre critiche. 

A mio avviso la svolta algoritmica è senz’altro centrale per comprendere cosa stanno diventando i mezzi di comunicazione. Ci si può chiedere tuttavia quanto i media siano ancora mezzi “di comunicazione”. La storia dei media otto-novecenteschi ha infatti affermato un’idea di comunicazione in quanto piena manifestazione di sé all’altro, pur in situazioni di distanza spaziale o temporale: la tecnologia diventerebbe in tal modo automaticamente capace di superare le barriere di alterità tra gli individui. Si tratta come è evidente di una concezione pericolosa e destinata al fallimento. Essa ha comunque alimentato un mito fino a oggi difficile da abbattere, anche perché fortemente radicato in una cultura individualistica e dell’autoaffermazione; i media algoritmici, nel momento in cui decentrano la propria funzione dalla comunicazione alla estrazione e al trattamento dei dati, consentono oggi (se si vuole maniera un po’ paradossale e non senza il profilarsi di nuovi rischi) di prendere le distanze da questa utopia – distopia comunicazionale, e di riscoprire il reale valore della comunicazione interpersonale basata sull’ascolto più e prima che sulla manifestazione di sé.

Vengo più rapidamente ai due aspetti “sottotraccia” del volume. Il primo riguarda la relazione tra i media contemporanei e la religione. Il capitolo Magiadel volume analizza lo stretto legame anche storico tra l’utilizzo delle tecnologie mediali e il pensiero e le pratiche magiche: i media testimonierebbero in tal modo non del disincanto della Modernità, ma del permanere al suo interno di una condizione “pre-moderna”. Nel volume non si parla di religione, ma sarebbe a mio avviso molto pericoloso confondere (come avviene in molta parte della letteratura scientifica corrente, soprattutto di taglio sociologico e antropologico) religione e magia all’interno dei media algoritmici. Certo, a prima vista le pratiche religiose e quelle magiche sembrano avere dei punti in comune: in particolare gli aspetti rituali, compreso il loro coinvolgimento multisensoriale. 

Tuttavia, nei due casi cambia radicalmente la funzione delle immagini, dei gesti e degli oggetti: se nel mondo religioso essi rimandano a un orizzonte ulteriore, nel mondo magico essi vengono feticizzati e caricati di valore in sé, nella loro materialità e nei loro effetti contingenti. Il che porterebbe a riflettere a quante e quali forme di pensiero magico abitano ancora oggi la nostra esperienza non nonostante, ma proprio a causa della onnipresenza della tecnologia e dei media. 

Un secondo aspetto “sottotraccia” riguarda il tema della “presenza” e delle esperienze di presenza che fanno i fruitori dei media algoritmici. Un aspetto, questo, che merita un approfondimento, anche alla luce del recente documento del Dicastero per la comunicazione dedicato al coinvolgimento con i social media Verso una piena presenza. I media hanno sempre avuto a che fare con la modulazione delle differenti forme di presenza dei soggetti fruitori rispetto ai dispositivi mediali (si pensi al cinema); rispetto agli altri soggetti sia compresenti che distanti (si pensi alla televisione); e rispetto a sé stessi: per esempio nelle forme di autorappresentazione e auto narrazione all’interno dei social media. Credo si possa affermare che mentre i media del passato disciplinavano le forme di presenza in set limitati di possibilità, i media contemporanei sono divenuti strumenti di moltiplicazione quasi incontrollata di modi e forme per sperimentare la presenza. 

Faccio solo tre esempi. I social media (al centro appunto del documento citato sopra) offrono ai soggetti la possibilità di esporsi o di ritrarsi in una molteplicità di modi, forme e gradi: per esempio mediante i filtri di realtà aumentata, compresi quelli di beautification, i soggetti possono alterare anche radicalmente ma in maniera non avvertibile il proprio aspetto. Un secondo esempio è dato dai sistemi di videoconferenza che abbiamo ampiamente utilizzato nel corso del lockdown: mediante le varie possibilità offerte dalla tecnologia abbiamo sperimentato la possibilità di mostraci o nasconderci in vario modo e grado nel corso delle interazioni comunicative. 

Infine, un campo di possibilità quasi infinite per la sperimentazione dei modi di presenza è costituito dalle forme di realtà estesa, virtuale o aumentata, comprese le interazioni del Metaverso: in tutti questi casi il soggetto sperimenta la possibilità non solo di protendersi in vari modi verso il mondo, ma altresì quello di portare a sé e di plasmare secondo il proprio desiderio o le proprie esigenze il mondo esperito. 

Insomma: i media sono oggi un grande laboratorio e un altrettanto vasto mercato della presenza: la consapevolezza di questo punto è fondamentale anche per chi intende proporre e difendere modelli alternativi e qualificati di presenza nei media algoritmici.

 

Da: L'Osservatore Romano, 20 settembre 2023