27 gennaio 2023

Parlare al cuore è la via per la pace. Intervista a Chiara Amirante

A confronto con il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

 

di Andrea Monda, Direttore Responsabile de L'Osservatore Romano

 

«I veri comunicatori non insegnano ma apprendono, sanno leggere il libro della vita». È questa la prima impressione, a caldo, che Chiara Amirante, fondatrice di Nuovi Orizzonti, ha provato leggendo il Messaggio di Papa Francesco per la 57a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, intitolato Parlare col cuore.

 

Un bel titolo che però forse corre il rischio di slittare in una retorica vuota, in un sentimentalismo fragile, sterile?

Il rischio c'è e ci vorrebbe più tempo per riflettere su questo Messaggio che è molto denso, anzi direi che questo testo è un po' una Magna Carta non solo per i comunicatori.

Le parole del Papa, vero maestro di umanità e spiritualità, raccolgono non solo gli elementi fondamentali per la comunicazione ma anche quelli più urgenti rispetto alle tante sfide che oggi più che mai ci interpellano. Sono infatti tanti gli spunti che il Papa ci offre invitandoci ad esempio a meditare sulla figura di san Francesco di Sales, del suo parlare cuore a cuore. I veri comunicatori, come san Francesco, hanno la gioia di incontrare gli altri e quando capita di vederne uno all'opera lo senti subito che non hanno il loro discorsetto ben preparato, che fanno retorica solo per apparire, per fare bella figura, ma invece ci parlano dalla profondità del cuore, di quella che è l'esperienza di vita e che, grazie alla luce dell'amore, hanno saputo cogliere, sapendo leggere i segni dei tempi.

 

Caliamo allora questo invito alto del Papa, nel basso dell'esperienza che si vive a Nuovi Orizzonti, quale effetto fanno queste parole?

Nella nostra esperienza di Nuovi Orizzonti , incontriamo ragazzi di strada che ovviamente spesso sono diffidenti perché sono nati cresciuti nella giungla. Il Messaggio ricorda che l'unica chiave per instaurare un dialogo profondo con persone dal cuore indurito da tante violenze, è proprio questo: ascoltarli prima con il cuore. L'ascolto e il dialogo col cuore fanno miracoli, che avvengono quando la persona, anche quella ferita, depressa, viene ascoltata e accolta per quello che è, là dov'è con tutte le sue paure e i suoi timori. Quando andavo in strada la mia prima preoccupazione era adesso cosa gli dico a questi giovani così disperati? cosa posso fare io?. Poi mi sono accorta che c'era talmente una sete di amore, perché il nostro cuore ha sete di questo, che già il mostrarsi disponibile ad ascoltare cambiava le cose, al punto che dopo averli ascoltato, loro mi chiedevano: Ma a te, chi te la fa fare di rischiare la vita per noi?. Solo allora parlavo della mia esperienza, dell'incontro con Gesù ed era incredibile vedere la reazione dei ragazzi quando dicevo che Gesù aveva rinnovato la mia vita, ridandomi la gioia proprio nei momenti di disperazione. Ma il punto era che si erano sentiti voluti bene e ascoltati, esperienza che normalmente non fanno, e che quello che gli raccontavo non era una mia idea, una strategia, ma che lo facevo semplicemente per condividere un'esperienza con loro; mi sa che a quel punto scattava quella sintonia di cui parla Papa Francesco, che crea qualcosa di nuovo nell'incontro. Io ti condivido il mio modo di vedere il mondo e tu fai lo stesso con me: non ne usciamo uguali ma entrambi più ricchi.

 

Ascolto ma anche coraggio, parresia, come ricorda il Papa nel Messaggio...

Sì, come cristiani dobbiamo parlare con parresia, annunciare la verità quindi, però se questa parresia non è seguita da quell'amore che sgorga dal cuore (e che proviene dallo Spirito Santo) la comunicazione diventa poco efficace. Questo vale per i ragazzi di strada dei quartieri di periferia ma anche quelli nelle scuole dei quartieri in benestanti. La chiave è sempre quella, allora vedi che i ragazzi rispondono col cuore a chi gli parla con il cuore e si mettono a nudo, condividono le loro esperienze, le loro storie.

E gli insegnanti restano sempre sorpresi dalla loro attenzione, perché quello che si dice (e spesso si vede) è che i ragazzi oggi non ascoltano o ascoltano pochissimo. Invece si rivelano capaci di ascoltare, di restare anche per due ore in silenzio.

Scatta allora una sintonia, quella di cui parla il Papa, e il desiderio di consegnare quello che hanno nel cuore: quante volte riceviamo confidenze, magari cose che non hanno mai detto agli amici più vicini, solo per il fatto di averci ascoltato parlare con il cuore e per esserci messi noi in ascolto di loro.

 

Quale è il segreto per far scattare quella sintonia?

Direi l'umiltà. Scegliere di far tesoro di quello che sta fuori non dentro di noi. Ogni giorno posso dire, con gratitudine, che imparo qualcosa dai ragazzi che arrivano dal carcere, dalla strada. La mattina abbiamo una meditazione con loro sul Vangelo del giorno e ognuno dice qualcosa di personale e tirano fuori delle perle meravigliose di bellezza. Ci vuole quel pizzico di umiltà che permette di rovesciare tutti gli schemi abituali, riconoscere che ognuno è un nostro insegnante perché ognuno dal libro della vita ha imparato qualcosa. Penso che questo stile umile sia la chiave per costruire nel nostro piccolo, un mondo migliore, portare il proprio contributo in un momento in cui stiamo andando verso l'autodistruzione.

In Nuovi Orizzonti facciamo un percorso che si chiama Arte di amare , perché l'amore è un'arte in cui siamo tutti sempre apprendisti. E vediamo che questo percorso spesso realizza una vera rinascita delle persone che scoprono le potenzialità presenti a livello spirituale e se riusciamo a imparare a donare e ricevere amore ci dona la vita diventa infinitamente più bella.

 

Dalla sua esperienza si intuisce che può avvenire quello che dovrebbe essere l'esito normale di ogni comunicazione, la comunione. La comunicazione infatti non dovrebbe essere l'erogazione di un servizio, il mero fornire un'informazione, dovrebbe essere tesa alla comunione con l'altro. Questa apertura verso la comunione è comunque sempre un rischio, l'esito non è mai scontato, non avviene automaticamente.

È proprio così. Anche se viviamo nella società della comunicazione, o forse proprio per questo, nel senso che siamo tutti continuamente bombardati di comunicazioni avviene un corto circuito e si smarrisce il senso del comunicare. Tutti oggi si sentono comunicatori sulla Rete, sui social e tutti ormai si improvvisano giornalisti, guru, maestri, insegnanti professori, educatori.. In questa tempesta comunicativa siamo diventati incapaci di comunicare veramente. Si chatta, testa bassa sui cellulari senza parlare faccia a faccia. Un'estenuante inseguimento dell'apparenza e alla competizione con il risultato di un grande vuoto, una lacerante solitudine. Una comunicazione fatta di competizione in cui ognuno deve dimostrare di essere il migliore non lascia spazio alla nascita di amicizie vere che poi è il bisogno fondamentale dell'uomo in quanto essere creato a immagine e somiglianza di Dio. Il bisogno di amare ed essere amato. Siamo invece spesso tutti dentro una schermaglia per vincere e dovremmo uscirne per entrare in una comunicazione che è attenzione, valorizzazione della diversità come possibilità più ricca e ampia. Basta vedere o ascoltare un talk-shaw per notare che sembra una simulazione della guerra più che uno scambio di opinioni verso la verità. Oggi che viviamo in un mondo lacerato dai conflitti, un'urgenza che ci interpella è anche la crescita esponenziale delle dipendenze, consideriamo ad esempio che solo la sesso-dipendenza colpisce una persona su tre. Come ammoniva Papa Francesco in quel momento storico che non dimenticheremo mai, lì in quella piazza deserta durante il lockdown, in questa tempesta siamo tutti nella stessa barca e dobbiamo remare tutti insieme; in questo remare c'è anche il comunicare che quindi sia come è scritto nel Messaggio «dalle braccia e dal cuore aperto» per fare, aggiungo io, della diversità non un motivo di schermaglia ma di arricchimento. La logica deve essere quella del disarmo.

 

In questa logica quindi nessuna schermaglia, nessuna strategia, nemmeno quelle di marketing. La comunicazione disarmata si rivela disarmante, e forse l'unica via per la pace..

Certo, ma la pace, come ricorda anche questo Messaggio, passa dalla conversione del cuore. Anche noi cristiani, a volte, comunichiamo armati, ci mettiamo a fare i nostri grandi o piccoli discorsi per il quale pretendiamo un ascolto passivo. Il Papa ci invita invece a parlare tenendo insieme verità e carità e al contempo con parresia, accesi dal fuoco dello spirito. Se questo accade, lo ripeto partendo dalla mia esperienza, sboccia una vera comunicazione cordiale, e ci si apre ad una bellezza incredibile racchiusa, nascosta, in persone che mai ti aspetteresti, che magari hanno vissuto 30 anni in carcere. Questa bellezza può avvenire nelle piccole guerriglie quotidiane che si svolgono nelle case delle persone, si può aprire una breccia nel cuore delle persone, anche in quelle considerate irrecuperabili. Se lo facessimo tutti a livello globale credo che si potrebbe diventare costruttori di un'autentica civiltà dell'amore in un momento in cui invece stiamo andando pericolosamente verso la guerra sempre più mondiale, non solo perché sono decine i conflitti armati nel mondo, ma perché appunto si vive una piccola guerra ogni giorno nelle famiglie, negli ambienti di lavoro al punto che siamo abituati a questa guerra sottile in cui bisogna sempre prevalere sull'altro. Se ci aggrappiamo testardamente alla competizione e allo scontro anziché all'incontro, perdiamo di vista la bellezza, che è nutrita proprio dalla diversità, dall'alterità. Se scartiamo l'opportunità di arricchirci del punto di vista dell'altro, scartiamo via anche la bellezza del vivere insieme. La proposta di questa nuova modalità di comunicazione che il Papa ci offre non interpella solo gli operatori della comunicazione ma interpella tutti in prima persona.

 

Qual è però la responsabilità propria degli operatori della comunicazione?

Una responsabilità più grande direi. Se i prodotti giornalistici sono ispirati alla modalità della guerra, allora i giovani imparano a essere sempre in guerra. Mi ha colpito molto che il giorno in cui è morto padre Biagio Conte, un uomo che ha veramente vissuto una vita come san Francesco riuscendo ad accendere la speranza in migliaia di persone, i giornali hanno relegato la notizia a qualche trafiletto, perché tutto lo spazio era occupato dalla cattura del boss mafioso. Il male in prima pagina. Ma questo ci porta verso uno stato depressivo collettivo: sono aumentate le depressioni giovanili del 25%, un dato spaventoso, dovuto anche alla comunicazione, a un'informazione fatta di bollettini di guerra, che non valorizza mai quello che di bello c'è nella società.

 

Chiudiamo da dove siamo partiti, dal cuore. E lo chiedo anche pensando al programma televisivo condotto da don Davide Banzato, I viaggi del cuore, che scaturiscono dalla vostra esperienza; che cos'è questo cuore con cui dobbiamo parlare, ascoltare e anche vedere come diceva Benedetto xvi nella «Deus Caritas est»?

Il cuore per me è naturalmente il cuore dell'uomo, è quello che ci dà la vita di vivere una vita in pienezza. Nel senso che se c'è qualcosa che ci contraddistingue è la nostra capacità di amare, questa luce che ci permette di vedere l'altro, le situazioni del suo cuore nella sua complessità. Guardare gli altri e il mondo con la luce dell'amore verso la complessità di quello che viviamo, ci fa scorgere i cosiddetti segni dei tempi, capaci di vedere qualcosa che la nostra razionalità non raggiunge. Per noi cristiani la luce proviene dallo Spirito Santo, per chi non è cristiano può essere la luce che viene dall'amore e il rispetto della libertà dell'altro. Questo rispetto che nasce dall'amore è qualcosa che mette un limite alla nostra onnipotenza perché l'amore non fa mai violenza alla libertà.

 

 

Da: L'Osservatore Romano, mercoledì 25 gennaio 2023