10 ottobre 2023

Così si fabbricano i falsi dati negazionisti

A colloquio con Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr

 

di GIULIANO GIULIANINI

 

Il primo capitolo dell'esortazione Laudate Deum, “La crisi climatica globale”, inizia così: «Per quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento climatico sono lì, sempre più evidenti». Già dal quinto paragrafo Papa Francesco critica gli oppositori delle prove della crisi climatica, ponendoli tra quei fattori, politici, economici e sociali che implicitamente incolpa della mancata reazione alla preoccupazione per un “mondo che si sta sgretolando”. Bergoglio non usa i termini “negazionismo” e “fake news” ma scrive di “false informazioni” e “falsi profeti”, quando sottolinea come i poteri economici e tecnocratici illudano i poveri della Terra per indurli a sacrificare l'ambiente in cambio di benessere e progresso. 

Le voci contrarie alla realtà del cambiamento climatico causato dallo sviluppo industriale, si sono levate non appena i primi scienziati hanno iniziato a notare l'aumento della temperatura media del pianeta, e a prevederne le possibili conseguenze. «C'è una storia del “negazionismo” climatico — ci dice Antonello Pasini, fisico del clima del CNR —. Iniziarono dicendo: non esiste il riscaldamento globale. Poi le prove furono talmente numerose che ammisero l'esistenza, ma negarono l'origine umana. Molti sostengono ancora che il fattore antropico non sia essenziale; che non siamo tanto potenti da creare tale confusione nel mondo». La conferma arriva dall'arena principale di questo dibattito asimmetrico tra comunità scientifica e negazionisti: non le facoltà universitarie, i convegni scientifici o gli incontri diplomatici internazionali, ma i media, i social e il web. Persino tra i commenti del tweet con cui il profilo ufficiale del Papa ha divulgato la Laudate Deum si può leggere: «La Chiesa sta commettendo un grave errore ad appoggiare questo enorme business climatico» e «credere che l'uomo possa regolare la temperatura del pianeta a suo piacimento come se avesse un termostato non è una follia e un modo di sentirsi Dio?».

Oggi però pochi scienziati e politici rischierebbero la credibilità su dati ormai incontrovertibili. Si delinea quindi una nuova linea del fronte: «Una terza battaglia di retroguardia — la definisce Pasini — di chi ammette il riscaldamento globale e l'origine antropica, ma non se ne preoccupa. Al contrario lo vede positivamente, perché l'aumento di CO2 sarebbe una sorta di “nutriente” delle piante, attraverso la fotosintesi, finirebbe stoccata in tronchi, rami e foglie». Questo argomento — l’abbondanza di anidride carbonica che aumenta la quota verde del pianeta e dunque la produzione di ossigeno — è citato anche dal Wwf tra i dieci maggiori falsi miti sul cambiamento climatico. Chiarisce lo scienziato: «Questo sarebbe vero a parità degli altri elementi; ma non lo è se nel terreno manca l'acqua perché piove poco o perché evapora a causa di temperature troppo alte. In alcune regioni della Terra sicuramente le piante crescono di più, ma questo non succede in tutte le zone subtropicali — guarda caso le più povere — o nei paesi mediterranei». 

L'argomento principe, ripetuto come un mantra da chiunque prenda partito contro il concetto stesso di crisi climatica è: “Il clima nella storia è sempre cambiato”. Di solito seguono esempi come il cosiddetto “optimum climatico” che accompagnò l'ascesa dell'antica Roma; o la colonizzazione di una vasta “terra verde” che i vichinghi battezzarono appunto Groenlandia, salvo poi abbandonarla quando un altro mutamento climatico la rese quella desolazione ghiacciata che conosciamo oggi. Anche il Papa cita e confuta queste obiezioni nel paragrafo intitolato “Resistenza e confusione”, ricordando la scala spaziale diversa di quei fenomeni rispetto all'attuale. Lo ribadisce Pasini: «Sappiamo che il clima è variato almeno negli ultimi 800 mila anni, con ere glaciali e periodi caldi. Negli ultimi duemila anni ci sono stati riscaldamenti 'localizzati': in Europa durante le guerre puniche (II e III sec. AC, ndr.); e anche in Groenlandia tra XI e XII sec. Il riscaldamento globale di oggi, invece, interessa il 98% della superficie terrestre, e non può essere dovuto alla variabilità naturale. C'è qualcosa che spinge quasi il 100% del sistema a cambiare nello stesso verso. Sappiamo che cos’è: le nostre emissioni gas serra. Ci preoccupiamo perché nell'ultimo secolo il riscaldamento globale è stato di 1,1/1,2°C; mentre nel passaggio dalle ere glaciali ai periodi caldi, per l'aumento di un grado occorrevano mille anni, non un secolo. È una variazione estremamente più rapida, a cui difficilmente si adattano i territori, gli ecosistemi, e la nostra società globalizzata». 

Più difficili da contrastare, per chi non sia avido lettore di pubblicazioni scientifiche ad ampio raggio, risultano quelle notizie che, pur basandosi su dati corretti, possono ingannare la platea dei social; “dissimulando” la realtà, come scrive Papa Francesco. «È il cosiddetto “cherry picking” (letteralmente: raccolta di ciliege, ndr.) — spiega Pasini —. Si scelgono solo quei dati che sembrano dimostrare che tutto il quadro è falso. Un esempio è il livello del mare del Nord, che in un dato mese non aumenta (come vorrebbe la tendenza allo scioglimento dei ghiacci polari, ndr.) ma diminuisce. Si misura con dei mareografi installati sulla costa, che quindi non rilevano il livello assoluto del mare. Ora, nel nord Europa la costa si sta sollevando, contrastando così l'innalzamento assoluto del mare. Queste cose poi finiscono su post eclatanti con commenti del tipo: “Ecco la prova che gli scienziati dicono stupidaggini: il livello del mare non si alza ma si abbassa”».

Si arriva così alla più insidiosa delle tecniche di distrazione di massa: l'attacco alla roccaforte della scienza. L'asserzione, suffragata da interviste, petizioni e appelli di “alcuni” scienziati, che il climate change sia solo una teoria, sulla quale non tutti gli studiosi sono concordi. Pasini — fisico del clima, giova ricordarlo — commenta con amara ironia: «Tirano fuori queste petizioni firmate da 800-1000 scienziati che, guarda caso, non si occupano di scienze del clima ma di altro; che non pubblicano mai su riviste scientifiche serie e accreditate. Fanno valere la loro autorità, relativa però a un altro campo di studi. Non è corretto. La discussione si fa sulle riviste scientifiche. È il cosiddetto metodo della peer review: un articolo scientifico (che propone o confuta una teoria, ndr.) deve essere spedito a una rivista specializzata e, prima della pubblicazione, controllato da qualcuno esperto di quel settore almeno quanto l'autore. Perciò l'articolo di una rivista che si occupa di cambiamenti climatici è un risultato scientifico. Non lo è invece quello pubblicato da un quotidiano o una rivista qualunque; perché non è passato al vaglio della comunità scientifica. Questi professoroni che firmano appelli contrari al cambiamento climatico, solitamente sono emeriti o anziani di altri settori, che non sono mai entrati nell'arena scientifica a discutere con la comunità di esperti».

 

 

Da L'Osservatore Romano, 9 ottobre 2023