Indubbiamente mai come ora i mezzi di comunicazione sociale si sono rivelati tanto essenziali nella vita di un continente come l’Africa. Spesso presentata, forse con troppa facile condiscendenza, come il continente della sola oralità, l’Africa dell’amarico ha approfittato subito delle facilitazioni offerte dalle nuove tecnologie. I dispositivi elettronici di comunicazione sono sbarcati anche qui e vi hanno trovato un terreno fertile (1).
Ma una tecnologia vale per quel che valgono i complementi d’anima che ispira. Comunicare il vuoto è in contraddizione con l’etimologia del termine (comunicare è essere in rapporto reciproco, in comunione con). L’idea di trasmettere implica di darsi un motivo per la trasmissione, un contenuto possibilmente portatore di senso.
In un mondo tanto paradossale come quello attuale, dove si può trasmettere di tutto, sarebbe falsamente rassicurante basarsi sulle tecnologie che accorciano le distanze, se non ci fosse un valore aggiunto agli aridi dati che si prestano a ogni forma di trasmissione. È tautologia ricordarlo, ma bisogna trasmettere dell’umanità nelle tecnologie che sono attualmente al servizio dell’uomo. È questo che dà un senso persino alla Chiesa, come sottolinea Papa Francesco (2).
Certo i dati delle borse, il clima, le notizie del mondo e quelle sportive sono utili e possono servire da collante per il funzionamento della società. Durante i due mesi di rigido confinamento che la Repubblica del Congo ha vissuto, a marzo e aprile del 2020, la didattica a distanza digitale ha permesso di salvare gli esami di fine anno e anche l’intero anno scolastico. Più vicino a noi, l’eruzione del Nyiragongo, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, a metà maggio 2021, avrebbe sicuramente avuto conseguenze più drammatiche e un bilancio di vittime più elevato se i telefoni cellulari non avessero funzionato nelle savane e al confine con il Rwanda.
Ma il mondo in cui abitiamo soffre. Ogni giorno che passa, gli infliggiamo ferite che vanno fasciate al più presto. Papa Francesco lo ha detto con una chiarezza che ha fatto aderire alla sua lungimirante costatazione molti pensatori e opinionisti, anche quelli più lontani dalla fede cristiana: la casa comune soffre… (3).
L’Africa centrale soffre in modo particolare per queste ferite. Ospitando il bacino forestale del Congo, secondo polmone d’ossigeno del mondo dopo l’Amazzonia, si vede infliggere piaghe ogni giorno più aperte. In quasi tutti i Paesi di questo bacino, dalla Repubblica Centroafricana al Congo e alla Repubblica Democratica del Congo, fino ai rivieraschi Sud Sudan e Uganda, ci sono stati e ci sono ancora conflitti armati dei quali una delle cause scatenanti è la disputa per la terra.
Al servizio di una causa di tutti
Una nazione come la Repubblica del Congo, Paese petrolifero (al quinto posto in Africa) di 5 milioni di abitanti, basa la sua economia sulla selvicoltura. Le popolazioni e il Paese ne ricavano risorse tradizionali (farmacopea, prodotti di caccia, raccolti e colture) e articoli per l’esportazione. Il Congo si trova al centro del bacino del Congo. Con i suoi 20 milioni di ettari di foresta, ossia il 60% del suo territorio di 342.000 kmq, il Paese ricava il 40% delle sue entrate dall’esportazione del suo legno tropicale. Il suo Pil, fortemente condizionato dagli effetti della pandemia di covid-19, è diminuito molto, collocandosi nel segmento negativo della curva di crescita. L’Fmi stima che sarà appena dell’1% quest’anno, e solo se la ripresa avviene a livello mondiale, con un auspicato regresso della pandemia.
Un ricatto ecologico
Se per lungo tempo il Paese ha potuto fare quasi tutto ciò che riteneva buono in questo ambito, sempre più partner stranieri stanno divenendo parte integrante delle politiche della selvicoltura. La “coscienza mondiale” sta diventando sempre più pressante e più precisa rispetto alla preservazione di un patrimonio di biodiversità riconosciuto a livello mondiale.
Nel 2014 alcuni scienziati britannici hanno rivelato che la regione congolese della Cuvette (centro-nord del Congo), la seconda più vasta area forestale umida del mondo, è letteralmente “seduta” su una bomba. Nella rivista scientifica «Nature», nel 2017, i ricercatori in effetti hanno rivelato che questa regione (già sospettata di ospitare l’ultimo brontosauro del pianeta, il mokele mbembe, che diverse spedizioni americane hanno inseguito senza riuscire mai a fotografarlo veramente, nonostante le insistenti testimonianze delle popolazioni rivierasche del fiume Congo e di un esploratore belga) è anche la regione delle torbiere.
Si tratta di 30 miliardi di tonnellate di C O 2, che si estendono da una parte all’altra dei due Congo, la cui fuoriuscita improvvisa soffocherebbe il mondo, in quanto corrisponderebbe a 3 anni di emissioni planetarie di questo gas tossico. Le torbiere costituiscono meno del 10% dello spazio del bacino del Congo ma sono una bomba a orologeria.
Un ex diplomatico francese, Gabrielle Cathala, particolarmente arrabbiata contro quello che definisce un ricatto ecologico da parte delle autorità congolesi, ritiene che questa realtà sia diventata una fonte di ricerca di finanziamento che il Paese, pesantemente indebitato, non trova sul mercato mondiale. Così — sostiene — il 3 settembre 2019, a Parigi, il Congo è riuscito a strappare «uno stanziamento di 65 milioni di dollari per la tutela delle foreste e delle torbiere della Repubblica del Congo, nel quadro dell’iniziativa per la foresta dell’Africa centrale (finanziata soprattutto dalla Norvegia)» (4).
La lotta per preservare la biodiversità è globale. Fa anche parte della battaglia quotidiana condotta dagli operatori dei media. Gli effetti degli sconvolgimenti inferti al pianeta non solo non hanno limiti, e tendono anche a colpire le popolazioni che hanno poco a che vedere con le loro cause reali (come le emissioni di gas a effetto serra), ma si presentano anche come una sfida mondiale, la fonte di nuove visioni in cui il mondo non si delineerebbe più in termini di razze, di ricchi e di poveri, ma di esseri umani solidali.
Ma il problema non si riassume tutto nella foresta che è in pericolo. Sempre nel Bacino del Congo, l’Atlantico che lo circonda nei due Congo, in Gabon, in Camerun e in Guinea Equatoriale, non offre più garanzie di godere di buona salute.
A Pointe-Noire, seconda città del Paese e capitale economica del Congo-Brazzaville, l’estrazione del petrolio al largo delle coste, gli scarichi frequenti e illegali delle navi straniere, i detriti in plastica gettati in mare e la pesca delle grandi navi-fabbrica coreane, contribuiscono a un inquinamento tanto dannoso quanto la deforestazione sulla terraferma.
Il grido di allarme delle organizzazioni ecologiste è diventato quindi costante. Il petrolio, in off-shore o in on-shore, contribuisce a un inquinamento visibile a occhio nudo nei dintorni di Pointe-Noire. Attorno alla raffineria di Djeno l’aria è letteralmente irrespirabile.
Sapendo, come sottolinea l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che il Congo è uno dei Paesi più urbanizzati dell’Africa sub-sahariana, con oltre il 70% della popolazione che vive in agglomerati urbani e un entroterra scarsamente abitato, un inquinamento non può avere effetti limitati. E soprattutto l’inquinamento dell’aria.
Siamo diventati una società interconnessa. Eppure appare chiaro che questo modello di comunicazione non lascia più molto spazio agli stessi esperti della comunicazione. Il mondo non è più lontano dal poter fare a meno dei giornalisti, diceva un comico. È solo comicità? Tutto avviene come se tutti comunicassero e nessuno ascoltasse. Telefono in mano, il cittadino s’improvvisa addirittura reporter. Noi lo scriviamo e lo ripetiamo, l’unica comunicazione che vale per il pianeta è quella che deve servire da legame tra gli uomini attorno alla casa comune.
«La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo» (5).
Si può essere più chiari di Papa Francesco? Si può pensare a un maggior buon senso di quello di non rovinare la vita preferendo i piromani e le loro azioni?
di Albert Mianzoukouta,
direttore de «La Semaine Africaine»
1) Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale delle telecomunicazioni, il tasso di penetrazione del telefono cellulare in Africa è stato il più forte al mondo nello scorso decennio, con una media annuale del 10%. L’Africa è uno dei continenti con un livello di utilizzo del cellulare più elevato (circa l’80%) con un tasso di crescita del mercato stimato a +4% due anni fa, secondo un rapporto Gsma.
2) Papa Francesco: «Dobbiamo camminare insieme. Dobbiamo saper interpretare e orientare il nostro tempo. Possa la comunicazione ecclesiale essere veramente espressione di un unico “corpo”» (Discorso al Dicastero per la comunicazione, 23 settembre 2019).
3) Cfr. Papa Francesco, Laudato si’, n. 30.
4) Gabriela Cathala, già incaricata di missione dell’ambasciata di Francia in Congo: «Congo: entre dictature vieillissante et écologisme de façade… », in le Monde en commun, citato dal giornale satirico congolese «Sel-Piment», n. 347, maggio 2021.
5) Papa Francesco, Laudato si’, n. 13.
(Da L'Osservatore Romano, 5 luglio 2021)