10 dicembre 2020

Un “Eccomi” capace di interrogare

La docuserie prodotta da Tv2000 Factory indaga sull’origine della vocazione di 8 sacerdoti. L'autrice Bernacchi: alla base delle storie raccontate l’incontro con Gesù Cristo

 

Debora Donnini – Città del Vaticano

 

C’è uno spazio in cui si gioca l'“Eccomi”. È a partire da questa esperienza concreta nella vita di tanti sacerdoti che si sviluppa la nuova docuserie di TV2000 di Gianni Vukaj e Beatrice Bernacchi, trasmessa in questo periodo. Quattro puntate in onda ogni domenica e lunedì. Ciascuna propone la storia di due presbiteri. Dalla vocazione di don Dante Carraro, 62 anni, direttore di Medici con l’Africa Cuamm a quella di don Matteo Prosperini, parroco della comunità parrocchiale di Galliera che oggi si occupa degli ultimi, fino alla vicenda di don Antonio Celletti, generale dell’Aeronautica Militare, che, vedovo, diventa sacerdote all’età di 68 anni. Queste solo alcune delle storie proposte: esperienze e origini diverse, legate dal filo-conduttore di quell’Eccomi detto al Signore. “Sacerdoti si nasce o si diventa?” è la domanda da cui si parte. Ci spiega perché, Beatrice Bernacchi:

R. - Sacerdoti si nasce o si diventa? Chi sono i sacerdoti? Da dove vengono? Siamo partiti da queste domande. Ed è apparso chiaro che si tratta di una chiamata alla quale si risponde: nessuno dei sacerdoti che abbiamo intervistato, con cui abbiamo dialogato, pensava di diventare sacerdote o di essere nato per fare il sacerdote, ma alla base c’è un comune denominatore che è stato un incontro inaspettato con Dio e con Gesù Cristo, che ha permesso loro di intraprendere un altro viaggio, diverso rispetto a quello che avevano pensato inizialmente nella loro vita, di prendere una strada impensabile, quella del sacerdozio: sono stati liberi di lasciarsi sorprendere da Dio, che sicuramente è stato molto creativo…

Perché avete deciso di realizzare questa serie, centrandovi su quell’Eccomi di Maria nell’Annunciazione?

R. - L’ Eccomi di Maria è una possibilità per l’uomo per aprirsi a qualcosa di Altro rispetto a un proprio progetto di vita. Eccomi è come dire: fai tu Dio, io arrivo fino a qua, il resto lo fai tu, nello stupore, ma chiami proprio me che vengo da lontano? Qualcuno di loro voleva sposarsi, fare il medico o costruire case o diventare avvocato. Ecco, attraverso questo Eccomi hanno sentito di avere una missione di salvezza per ogni essere umano

Sono testimonianze molto diverse quelle presentate: c’è chi viene dalle proteste degli anni ’70 e chi era vedovo, chi si è dedicato agli ultimi in Africa, chi è andato missionario in Brasile o in Messico. Quali momenti l’hanno colpita di più come autrice?

R. - I momenti che mi hanno colpito di più sono stati quelli in cui i sacerdoti intervistati si sono commossi, perché si sentiva che avevano gratitudine per la loro vita. In effetti se uno si ferma un momento, si domanda: come fa una persona che era un hippy solitario a diventare, poi, sacerdote e partire per evangelizzare in Messico? O un agnostico a entrare, poi, in monastero, o un medico di Padova a diventare sacerdote, medico missionario in Africa, o a diventare sacerdoti a 68 anni? Tutto questo ci ha colpito molto. Parecchi genitori all’inizio non hanno preso bene la notizia che i figli entravano in seminario. Poi, però, sono stati i più contenti.

Emerge senz’altro che questi sacerdoti hanno avuto loro stessi un momento profondo di conversione. Dalle testimonianze che lei ha raccolto, cosa ha portato poi nella loro vita e in quella di chi li circonda, il loro “Eccomi”?

R. - Nella loro vita ha portato felicità, nessuno era triste o appesantito, posso garantirlo: felici di essere e di fare i sacerdoti, di questa chiamata ad andare incontro ai bisogni dell’uomo, alle periferie esistenziali, per portare salvezza e consolazione. Il loro Eccomi è stato un rilancio anche per i laici, per i non credenti. Un invito a chiedersi: “Ma io oggi perché vivo? Che senso ha la mia vita?”. Ecco, la loro esperienza ci apre a delle domande e ci mette in un cammino di dialogo.

 

Ascolta l'intervista a Beatrice Bernacchi