Debora Donnini - Città del Vaticano
In un tempo di troppe parole ostili e fake news, è l’umiltà, che rende liberi, la “chiave di volta” della professione del giornalista, anche se qualcuno potrebbe dire che le caratteristiche fondamentali della professione siano altre come competenza, capacità di scrittura, velocità di sintesi, abilità nel porre le domande giuste. Lo ricorda il Papa nel denso discorso sulla comunicazione e sul giornalismo rivolto stamani ai circa 400 membri dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, ricevuti in Sala Clementina. Un ampio discorso che si dipana proprio per spiegare la centralità dell’umiltà nel giornalismo: con una comunicazione che sappia costruire e non distruggere, che cerchi la verità e non si accontenti della superficie, che non costruisca stereotipi o slogan, che non smerci disinformazione ma il pane buono della verità. Un’informazione che sappia stare dalla parte delle vittime, dando loro voce, e raccontare anche l’oceano sommerso di bene, senza dimenticare i drammi del nostro tempo.
Serve umiltà per rappresentare la complessità della vita
La ricerca della verità richiede, infatti, umiltà mentre è più facile “non farsi troppe domande”, “accontentarsi delle prime risposte”, di soluzioni scontate che “non conoscono la fatica di un’indagine capace di rappresentare la complessità della vita reale”: “la presunzione del sapere già tutto, è ciò che blocca”. “Giornalisti umili non vuol dire mediocri”, avverte Francesco, ma consapevoli che attraverso tweet, articoli, dirette tv o radio, si può anche fare del male al prossimo e ad intere comunità, se non si è scrupolosi. Titoli “gridati” possono creare una falsa rappresentazione della realtà così come una rettifica, sempre necessaria quando si sbaglia, non basta a restituire dignità in un tempo in cui “attraverso internet una informazione falsa può diffondersi al punto da apparire autentica”. L’esortazione del Papa ai giornalisti è, dunque, quella di “resistere alla tentazione di pubblicare una notizia non sufficientemente verificata”. Non bisogna “farsi dominare dalla fretta” ma “trovare il tempo necessario per capire”:
Il giornalista umile cerca di conoscere correttamente i fatti nella loro completezza prima di raccontarli e commentarli. Non alimenta «l’eccesso di slogan che, invece di mettere in moto il pensiero, lo annullano». Non costruisce stereotipi. Non si accontenta delle rappresentazioni di comodo che ritraggono «singole persone come se fossero in grado di risolvere tutti i problemi, o al contrario come capri espiatori, su cui scaricare ogni responsabilità».
Il giornalista umile è libero e non smercia disinformazione
Come san Francesco di Sales, santo protettore dei giornalisti, invitava a usare la parola come il chirurgo usa il bisturi, così bisogna calibrare le parole in un tempo in cui “specialmente nei social media ma non solo, molti usano un linguaggio violento e spregiativo”. “In un tempo di troppe parole ostili” in cui si tende a classificare le persone, ribadisce il Papa, bisogna invece ricordarsi che ogni persona ha la “intangibile dignità”:
In un tempo in cui molti diffondono fake news, l’umiltà ti impedisce di smerciare il cibo avariato della disinformazione e ti invita ad offrire il pane buono della verità. Il giornalista umile è un giornalista libero. Libero dai condizionamenti. Libero dai pregiudizi, e per questo coraggioso. La libertà richiede coraggio!
Ricordare le tante sofferenze nel mondo
Il Papa, poi, dice di aver ascoltato con dolore le statistiche sui giornalisti uccisi in diverse parti del mondo. “La libertà di stampa e di espressione è un indice importante dello stato di salute di un Paese”, afferma, tanto è vero che una delle prime misure che fanno le dittature è proprio “togliere la libertà di stampa” o mascherarla. Il richiamo del Papa ai giornalisti è, quindi, quello di stare dalla parte delle vittime, dei perseguitati. “C’è bisogno di voi e del vostro lavoro – dice – per essere aiutati a non dimenticare tante situazioni di sofferenza, che spesso non hanno la luce dei riflettori, oppure ce l’hanno per un momento e poi tornano nel buio dell’indifferenza”. Il pensiero va alle cosiddette “guerre dimenticate”, nel senso che non sono all’ordine del giorno sui media, esortando, appunto, a non dimenticarle perché ancora in corso. Quindi, ringrazia i giornalisti per l’aiuto che danno “a non dimenticare le vite che vengono soffocate prima ancora di nascere; quelle che appena nate vengono spente” dalla fame o dalle guerre, “le vite dei bambini-soldato, le vite dei bambini violati”, i perseguitati per la loro fede o la loro etnia. E si chiede chi, oggi, parli dei Rohingya o degli Yazidi, che continuano a soffrire. “Ci aiutate - prosegue poi il Papa - a non dimenticare che chi è costretto – da calamità, guerre, terrorismo, fame e sete – a lasciare la propria terra non è un numero, ma un volto, una storia, un desiderio di felicità" e, in proposito, esorta a ricordare che il Mediterraneo si sta trasformando in “cimitero”.
Raccontare l’oceano sommerso di bene
Centrale è, poi, il raccontare il bene anche se il male fa più notizia. Il giornalista “umile e libero” fa proprio questo, afferma il Papa dicendosi confortato dal vedere quanto bene esista fra noi:
Vi prego, continuate a raccontare anche quella parte della realtà che grazie a Dio è ancora la più diffusa: la realtà di chi non si arrende all’indifferenza, di chi non fugge davanti all’ingiustizia, ma costruisce con pazienza nel silenzio. C’è un oceano sommerso di bene che merita di essere conosciuto e che dà forza alla nostra speranza. In questo raccontare la vita sono molto attente le donne, e vedo con piacere che nella vostra Associazione il contributo femminile è pienamente riconosciuto. Le donne vedono meglio e capiscono meglio perché sentono meglio.
All'inizio del suo discorso, ricollegandosi alle parole di San Giovanni Paolo II quando visitò la sede dell’Associazione 31 anni fa, Francesco aveva poi sottolineato l’apprezzamento della Chiesa per il lavoro dei giornalisti. “La Chiesa - afferma - vi stima, anche quando mettete il dito sulla piaga, e magari la piaga è nella comunità ecclesiale”.
Una comunicazione per costruire non per distruggere
Nel discorso all’Associazione Stampa Estera, il Papa sottolinea anche che il ruolo “indispensabile” del giornalista richiede grande responsabilità nella cura delle parole, delle immagini, di quanto si condivide sui social media, come peraltro sottolineava anche Benedetto XVI ricordando che i mass media tendono a farci sentire spettatori, come se il male riguardasse solo gli altri, mentre siamo tutti “attori” del bene come del male:
Vi esorto dunque a operare secondo verità e giustizia, affinché la comunicazione sia davvero strumento per costruire, non per distruggere; per incontrarsi, non per scontrarsi; per dialogare, non per monologare; per orientare, non per disorientare; per capirsi, non per fraintendersi; per camminare in pace, non per seminare odio; per dare voce a chi non ha voce, non per fare da megafono a chi urla più forte.
E, in conclusione, li ringrazia per il loro lavoro lontano dai Paesi di origine: un lavoro che, vissuto in spirito di servizio, diventa missione, dice ricordando che durante i suoi viaggi apostolici si rende conto della fatica che comporta. La sua esortazione finale è dunque quella di essere “specchio” che sa riflettere e seminare speranza, perché gli uomini liberi sono coloro che lasciano “una buona impronta nella storia”.
Il dono del libro "Comunicare il bene"
Al termine dell’incontro con la Stampa Estera, Papa Francesco ha donato ai presenti un libro intitolato “Comunicare il bene”, della Libreria Editrice Vaticana, che riunisce i suoi discorsi ai giornalisti, i suoi messaggi per le Giornate mondiali delle Comunicazioni sociali e altri interventi risalenti agli anni in cui era arcivescovo di Buenos Aires. La prefazione è di Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, che sottolinea come questi testi siano “una forte testimonianza dell’importanza” che ha per Papa Francesco la comunicazione “come mezzo di ricerca del vero, del bene e del bello”.