23 luglio 2020

Noi umani, intessuti di storie (di Benjamin Bevc)

Lògos e incarnazione, la lezione di Ippolito

 

di Benjamin Bevc

 

Le infinite possibilità che offre l’intrecciarsi dei fili della trama e dell’ordito sul telaio fecero sì che nell’immaginario collettivo degli antichi la tessitura si identificasse con i percorsi di vita individuali e collettivi. Da questa identificazione sono scaturite numerose metafore come «tessere una relazione», «intrecciare una conversazione», «ordire una congiura», «dipanare la matassa».

Ma ci sono ancora altre metafore, più legate alla nostra attività riflessiva e discorsiva, come «i pensieri aggrovigliati», «il filo del discorso», «tirare le fila», «spezzare il filo del ragionamento», «intrecciare le fila di un racconto», «tessere una storia». Persino una parola così insospettabile come «testo» proviene dal verbo «tessere».

Possiamo concludere, quindi, che il discorrere umano, il suo raccontarsi è permeato dalla metafora tessile. Essa ci consente di esprimere il carattere intrecciato, spesso imprevedibile e tortuoso, eppure unitario della nostra esistenza. In altre parole, la metafora tessile ci permette di raffigurare l’indole dinamica della nostra vita che cerca la sua unità tessendo un racconto.

Questo fatto fu messo in rilievo anche da Papa Francesco nel recente Messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali: «L’uomo è un essere narrante perché è un essere in divenire, che si scopre e si arricchisce nelle trame dei suoi giorni».

L’uomo, tuttavia, non è l’unico essere narrante. Stando alle parole del Pontefice, la Bibbia ci presenta anche Dio quale «creatore e nello stesso tempo narratore»; essa parla inoltre del Lògos divino, cioè del «Narratore per eccellenza», che si è fatto narrazione. In effetti, il prologo giovanneo afferma: «Dio nessuno l’ha mai visto. Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha raccontato (exeghésato)». Sebbene la Bibbia della Cei traduca «lo ha rivelato», bisogna ammettere che il verbo exeghéomai più che al campo semantico dello svelamento appartiene a quello della spiegazione, dell’interpretazione e del racconto. Girolamo di Stridone ne fu ben consapevole quando tradusse exeghésato con ennaravit. A giusto titolo, dunque, Papa Francesco mette in evidenza che la vita di Gesù Cristo è un’«esegesi» del Dio invisibile. Questo fatto è evidentemente pregno di conseguenze anche per la nostra vita. In maniera del tutto originale, il Pontefice, sempre ricorrendo alla metafora tessile, ne esplicita una sola: «Dio si è personalmente intessuto nella nostra umanità, dandoci così un nuovo modo di tessere le nostre storie».

Questo divino intessersi nell’umanità viene magnificamente messo in scena da Ippolito, uno scrittore orientale poco conosciuto, ma sempre suggestivo. Attivo fra la fine del secondo e l’inizio del terzo secolo, Ippolito fu autore di diverse opere esegetiche nonché del trattato Contro Noeto. Nell’opera Sull’Anticristo presentò tutta l’economia salvifica, operata dal Verbo, avvalendosi della metafora tessile e in modo particolare dell’immagine di telaio. Ma lasciamo la parola a Ippolito stesso: «Il Lògos di Dio, che era privo di carne, indossò la santa carne dalla santa Vergine, come uno sposo la veste, terminando di tesserla nella passione sulla croce, così che, contemperando il nostro corpo mortale con la sua potenza, e mescolando il corruttibile con l’incorruttibile e il debole con il forte, salvasse l’uomo che era andato in perdizione. Il telaio del Signore è dunque la passione che ebbe luogo sulla croce, l’ordito in esso la potenza dello Spirito Santo, la trama la santa carne intessuta nello Spirito, il filo la grazia che mediante l’amore di Cristo lega e unisce entrambi facendone una cosa sola, la spola il Lògos, e i lavoranti sono i patriarchi e i profeti che tessono la bella veste talare, la perfetta tunica di Cristo, passando attraverso i quali il Lògos a mo’ di spola tesse perfettamente per mezzo loro ciò che vuole il Padre» (da L’anticristo, Firenze, 1987, curatela e traduzione di Enrico Norelli).

Il simbolo del vestito che rappresenta il punto di partenza e di arrivo della riflessione ippolitiana, nella tradizione biblico-patristica evoca l’identità, la dignità, la condizione. Indossare la «santa carne» dalla parte del Lògos significa quindi l’assunzione dell’umanità. Per salvare l’uomo, il Lògos divino, immortale, incorruttibile e forte si contempera con ciò che è umano, mortale, corruttibile e fragile. Questo mescolamento però non avviene soltanto all’inizio, in un contesto di amore come fu quello del seno della Vergine, bensì lungo tutta la sua parousía umana: il Lògos continua a tessere la sua veste nuziale fintantoché, all’ora della croce, egli non si intrecci totalmente nell’umanità, fintantoché questa non diventi «intrisa di sangue» (Apocalisse 19, 13).

Con l’allegoria del telaio che segue immediatamente, Ippolito prolunga, sviluppa e approfondisce il tema della tessitura. Al centro dell’attenzione è ormai la struttura personale di Cristo, cioè la sua divino-umanità la quale, tessuta lungo tutta la storia veterotestamentaria, viene completata con la passione sulla croce.

La ricca e profonda simbologia del telaio si potrebbe comprendere alla luce del doppio significato della parola histós, che può designare sia l’albero della nave che l’albero del telaio e, per estensione, il telaio stesso: in entrambi i casi, la forma verticale del palo rimanda a quella dell’albero della croce. Quanto al vestito, tessuto sul telaio della croce, esso è l’umanità di Cristo che ingloba e conduce a Dio tutti gli uomini. Il suo ordito è la potenza dello Spirito nella quale viene intessuta la trama, cioè la carne.

L’artigiano principale è il Lògos stesso che, a mo’ di spola, fa passare i fili della trama tra quelli dell’ordito. Ricorrendo all’immagine del filo, Ippolito precisa che è l’amore di Cristo quello che, sul telaio della croce, unisce saldamente l’ordito e la trama, lo Spirito e la carne. L’amore di Cristo è quella forza che, come si accennava precedentemente, può strettamente e indissolubilmente vincolare il divino e l’umano, l’immortale e il mortale, l’incorruttibile e il corruttibile. In tal modo, nella carne di Cristo, permeata dallo Spirito, si apre una prospettiva, anzi una promessa inedita per l’intera discendenza di Adamo: toccata dall’amore di Cristo, ogni carne umana può giungere alla sua piena spiritualizzazione, cioè alla sua divinizzazione.

All’inizio del terzo secolo, la metafora tessile permise a Ippolito di rappresentare plasticamente il mistero della nostra redenzione in Cristo; ai nostri giorni il vescovo di Roma nel suo Messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali ricorre ancora alla stessa metafora per sottolineare l’importanza del racconto.

Dall’intreccio delle loro parole traspare evidente che della metafora tessile non possiamo fare a meno. Ippolito e Francesco ci insegnano, ciascuno a modo suo, come farla fruttificare e ci invitano, seppure indirettamente, ad avvalercene anche noi.

 

(Da L'Osservatore Romano, giovedì 23 luglio 2020)