20 marzo 2020

Accostarsi al mistero attraverso il mito (di David Mamet)

Il fondamento della convivenza umana

 

di David Mamet (da L'Osservatore Romano, venerdì 20 marzo 2020)

 

[ Nato a Chicago nel 1947, David Mamet è un drammaturgo, sceneggiatore, produttore cinematografico, regista e saggista. Nominato due volte agli Oscar (1983 e 1998), nel 1984 ha vinto il Premio Pulitzer per l’opera teatrale Glengarry Glen Ross, da lui stesso adattata per il film Americani (Glengarry Glen Ross), diretto da James Foley nel 1992. Il debutto di Mamet nel mondo del cinema risale però al 1981 con la sceneggiatura de Il postino suona sempre due volte (The Postman Always Rings Twice), diretto da Bob Rafelson. Tra le altre sceneggiature, nel 1987 scrisse quella de Gli intoccabili (The Untouchables), diretto da Brian De Palma. Nello stesso anno debuttò nella regia cinematografica dirigendo il dramma La casa dei giochi (House of Games), seguito dalla commedia Le cose cambiano (Things Change), dal thriller del 1991 Homicide e da altri dodici film, l’ultimo dei quali Phil Spector realizzato nel 2013 per il pubblico televisivo ]

 

 

I miti sono la presentazione poetica, drammatica di verità fondanti. Verità così profonde, da non poter essere espresse dal linguaggio terreno. Diciamo «ti amerò per sempre», pur sapendo che non vivremo per sempre.

Una famiglia comunica i propri valori attraverso il mito.

L’uno o l’altro evento familiare magari si è svolto proprio come viene ricordato, o forse no, ma, attraverso le successive ripetizioni, i miti fondanti, quelli che sopravvivono agli effetti del vaglio del tempo, vengono abbelliti, inconsciamente, dagli sforzi della famiglia di promuovere i suoi valori particolari. Lo stesso processo avviene in organizzazioni più estese e, nella sua interezza, è conosciuto come cultura.

Le religioni si consolidano attraverso la sottoscrizione e l’elaborazione di un mito fondante che, in origine, era il tentativo degli aderenti di incapsulare la profezia.

Pensiamo a un gruppo eterogeneo di persone, intrappolate a causa di un terremoto, in un ristorante. Isolate e non sicure di essere soccorse. Improvvisano una comunità. Qualcuno potrebbe emergere come un leader capace di dare loro speranza, qualcun altro magari ha nozioni di primo soccorso o di medicina, qualcun altro ancora potrebbe guidare il gruppo nel canto, e così via. Questo gruppo si forma in risposta a un bisogno talmente acuto da fare a pezzi le divisioni e gli antagonismi umani precedenti. E forse qualcuno ha scoperto cibo e acqua dove si pensava che non ci potesse essere, o ha ispirato coraggio attraverso l’oratoria o l’esempio.

E ora, immaginiamo che il gruppo venga liberato grazie a questi forzi straordinari. Le persone non si riunirebbero forse periodicamente per festeggiare la loro salvezza, per scambiarsi ricordi particolareggiati e, così facendo, cercare di dare un nome, e quindi spiegare, i meccanismi previ imprevisti, la fortuna, il caso, l’elezione o l’intervento divino, della loro salvezza?

Nel corso degli anni, le persone salve per miracolo racconterebbero la loro storia ai propri figli, che verrebbero introdotti nella comunione delle riunioni. Col passare dei millenni, i loro discendenti celebrerebbero quella che da molto tempo è stata identificata come una religione.

I primissimi esseri umani concludevano la giornata con i racconti intorno al fuoco. Tali racconti non trattavano le interazioni umane, bensì le interazioni degli esseri umani con il mondo naturale che, per loro, era Dio e le manifestazioni di Dio.

La saggezza delle esperienze del gruppo con l’ineffabile — vento, sole, stagioni, nascita e morte — fu incapsulata come favola e mito, i quali erano (è in massima parte rimangono) l’essenza di quella che conosciamo come religione. La religione è il tentativo organizzato e codificato di un gruppo di affrontare il Mistero della vita. È il tentativo umano di rendere culto — vale a dire di accostarsi — al Divino.

Si è sempre e inevitabilmente affidata al meccanismo del mito, vale a dire della narrazione, per ispirare, suggerire e trasmettere una tradizione di saggezza.

Gesù, come Rabbi esseno, impiegò le antiche tradizioni narrative dell’ironia e dell’allusione, quale mezzo più efficace e più bello dell’istruzione mnemonica. Alla domanda su cosa fare se un mendicante ti chiede la tunica, Lui disse «dagli anche il mantello»; alla domanda su quanto lasciare in elemosina, rispose «prendete tutto ciò che avete e datelo ai poveri».

Queste risposte costringono chi pone la domanda a contare solo su se stesso. Egli sa che, diversamente dal Maestro, il discepolo non seguirà alla lettera l’indicazione e dunque, sapendolo, di fatto potrebbe arrivare a pensare «Beh, allora che cosa posso fare per onorarne lo spirito?». Attraverso un meccanismo drammatico, è stato portato a riflettere, a ponderare e a decidere.

La forma più antica del dramma personificava le forze naturali, consentendoci, intorno al fuoco, di contemplarle con comodo, e in sicurezza. Con il consolidarsi del dramma nella cerimonia religiosa, i vari Spiriti percepiti nel mondo naturale e intuiti in quello soprannaturale furono personificati e le loro interazioni e intenzioni celebrate.

Il dramma si scisse dall’osservanza religiosa, ma il distacco non fu completo. Quando nella tragedia greca entrò il protagonista, la forma della celebrazione mutò. Prima, le divinità e i loro servi agivano e gli spettatori osservavano; ora il loro rappresentante occupava il palcoscenico e si batteva per loro.

Questa forma è detta tragedia, ed è una favola sull’uomo contro gli dei. Alla fine, l’eroe, nostro rappresentante, e quindi noi, pubblico, siamo mondati dalla conoscenza repressa della nostra malvagità, follia e illusione. Proprio come avviene attraverso la Confessione e la Comunione, oppure attraverso le pratiche del Giorno dell’Espiazione ebraico.

La tragedia è una celebrazione della maestà di Dio, la commedia della sua Misericordia. Le forme che ne derivano, come il dramma, il melodramma, la farsa e così via, sono tentativi umani e comprensibili di adattare forme maestose a fini minori. Lo chiamiamo intrattenimento. Ma il nostro riconoscimento ancestrale del dramma come una forma religiosa persiste quando, inconsciamente, comprendiamo che ci stiamo riunendo con altri esseri umani per dare testimonianza del mistero della nostra umanità.

Come faccio a saperlo? Riflettiamo: tutti si affrettano e si preoccupano di fare tardi in chiesa. Tutti agiscono in modo analogo quando devono andare a teatro, e tutti arrivano tardi. Ma non ci preoccupiamo e non arriviamo tardi al cinema o quando abbiamo una prenotazione per una cena.

L’impulso umano più antico, inestirpabile, è il riconoscimento di un Mistero al quale ci si può accostare solo attraverso il mito.