Alessandro Gisotti
“La pandemia è una crisi e da una crisi non si esce uguali: o usciamo migliori o usciamo peggiori”. Papa Francesco lo ha ripetuto tante volte nell’ultimo anno e mezzo. Un’affermazione che oggi assume ancora più vigore nel momento in cui faticosamente (e in modo difforme a seconda dei Paesi) stiamo cercando di uscire dalla crisi pandemica o perlomeno dalla sua fase più acuta. Possiamo già domandarci perciò se abbiamo appreso qualche insegnamento in questo tempo drammatico che ha accomunato l’umanità in una prova senza precedenti. Se, per riprendere la questione cruciale posta dal Papa, siamo diventati migliori o peggiori rispetto a come eravamo prima che il Covid-19 sbriciolasse tante nostre “sicurezze”, rendendoci tutti più fragili e ognuno più bisognoso dell’altro. Questo migliorarsi o peggiorarsi non ha per Francesco un significato moralistico. Ha un’incidenza molto più profonda perché ha a che fare con il cuore. È nella “conversione dei cuori”, infatti, come ci ha indicato con molta forza e chiarezza, che possiamo davvero riscontrare uno sviluppo della nostra fraternità e, come cristiani, una crescita nell’aderenza al Vangelo del Signore. La conversione del cuore non è un fatto statico. È piuttosto un movimento, un cammino che non ha un punto d’arrivo prestabilito perché è riflesso di una relazione personale e questa non ha mai fine se è davvero autentica. C’è però un punto di partenza di questo cammino: l’ascolto. Anzi, l’ascoltare perché, come abbiamo imparato fin dalla prima Messa celebrata dopo l’elezione alla Cattedra di Pietro – quella con i cardinali il 14 marzo 2013 contraddistinta dai tre verbi Edificare, Confessare, Camminare – la fede per Jorge Mario Bergoglio è tanto più radicata in Cristo, e quindi salda, quanto più è in moto, in azione, protesa in uscita verso il prossimo chiunque egli sia e dovunque si trovi.
Ora, come annunciato oggi, il Pontefice indica proprio nell’ascoltare il tema e l’impegno a cui sono chiamati gli operatori dell’informazione in occasione della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. È un compito esigente perché noi giornalisti siamo abituati a pensare che per comunicare efficacemente bisogna avere l’ultima parola, concludere il discorso, pubblicare il tweet decisivo. Il Papa ci chiede invece di stare in ascolto, di fare un esercizio di umiltà. Ci invita a farci prossimi – non puoi ascoltare l’altro se non gli stai vicino – proprio come, nell’ultimo Messaggio per le Comunicazioni, aveva esortato i giornalisti a “consumare le suole delle scarpe” per incontrare le persone, le storie e, dunque le notizie, laddove sono e come sono. Ascolto come bussola per i comunicatori, ma non solo. Lungo tutto il suo Pontificato, Francesco lo ha messo in primo piano fino a coniare la formula dell’apostolato dell’orecchio. Ha incoraggiato i giovani a sostenere i propri coetanei in difficoltà, attraverso l’ascolto-terapia. Ha chiesto ai pastori di ascoltare il Popolo di Dio perché solo così potranno guidarlo verso l’incontro con Cristo, solo così la Chiesa sarà veramente sinodale. Ancora, ha chiesto di ascoltare le vittime degli abusi, perché solamente attraverso l’ascolto della loro sofferenza si potrà costruire un solido percorso di guarigione e riconciliazione. “Tutti abbiamo gli orecchi, ma tante volte non riusciamo ad ascoltare”, ha detto all’Angelus del 5 settembre scorso. “Presi dalla fretta, da mille cose da dire e da fare – ha aggiunto – non troviamo il tempo per fermarci ad ascoltare chi ci parla”. Ecco allora che “ascoltare” diventa la chiave per aprire la porta della rinascita quando il Covid-19 avrà smesso di seminare morte e inquietudine. Francesco, in fondo, ripete oggi a noi quello che il Santo Poverello, di cui porta il nome, diceva ai suoi frati: “Inclinate l’orecchio del vostro cuore”.