Lettera a Gélamur, presidente UCIP

Segreteria di Stato, 25 giugno 1971

 

Il S. Padre ha appreso con piacere che l'Unione Cattolica Internazionale della Stampa ha deciso di consacrare il suo 9° Congresso Mondiale di Lussemburgo al tema «L'opinione pubblica nella Chiesa». Trattandosi di un argomento «delicato e non facile, grave di conseguenze tanto sul piano positivo come su quello negativo, secondo che sia o no correttamente impostato e risolto»1, senza dubbio voi l'affronterete con impegno e rigore dottrinale ed insieme col senso più vivo della vostra responsabilità morale.

È opportuno riaffermare che nella Chiesa l'opinione pubblica ha un suo posto. Infatti, per la sua costituzione divina ed umana, la Chiesa è, per vocazione, luogo ideale ed insieme garante di libertà. Essa è organismo soprannaturale, sostenuto dallo Spirito Santo che l'anima, la guida e la conserva in una giovinezza sempre rinnovata; ma è anche una comunità di uomini strutturata in vero corpo sociale. L'indissolubile consistenza, in questa realtà unitaria, di elementi divini ed umani, di comunione interiore e sociale, di legge spirituale e legge canonica, mentre le conferisce una fisionomia del tutto originale che la distingue da ogni altra comunità, costituisce insieme il fondamento specifico di una opinione pubblica nel suo seno.

Se la Chiesa fosse soltanto una società umana, e se la sua struttura sociale fosse, non soltanto distinta, bensì anche separata dal suo contesto divino, la questione dell'opinione pubblica vi si porrebbe non differentemente che nelle altre società. Se, al contrario, la Chiesa non fosse un corpo sociale visibile, la sua vita non avrebbe alcuna rilevanza nella storia umana, ed il fenomeno dell'opinione non potrebbe apparirvi.

Nella società che Cristo ha istituito come una comunione spirituale e visibile, alla quale ha confidato la missione che egli ha ricevuto dal Padre, tutti i membri, nella diversità armonica delle proprie responsabilità, collaborano all'opera della salvezza. Di qui, nella vita quotidiana del Popolo di Dio, quello scambio di pensieri e di attività, di proposte e di esperienze che, spesso sotto l'impulso della Spirito Santo, si sprigiona dalle intelligenze e dalle libere volontà dei suoi membri, tanto nell'esercizio del ministero pastorale quanto nelle attività proprie del laicato. Può quindi dirsi che, in fatto ed in diritto, l'esistenza di un'opinione pubblica nella Chiesa attiene alla sua stessa natura.

Gli ultimi Papi e il Concilio Vaticano II l'hanno riconosciuta ed affermato. A sua volta, la recente Istruzione Pastorale Communio et progressio dichiara: «La Chiesa è un organismo vivente e le occorre l'opinione pubblica, che si alimenta nel dialogo tra le sue membra: condizione di progresso del suo pensiero e della sua azione»2.

L'ambito deIl'opinione pubblica nella Chiesa si estende tanto alla dottrina quanto alla prassi, vale a dire: a tutta la vita ecclesiale. Certamente: il magistero dottrinale, il governo pastorale ed il potere di santificare sono stati affidati da Cristo non a tutti i fedeli indistintamente; tuttavia, tutti i battezzati e confermati, in virtù della loro rispettiva partecipazione al sacerdozio di Cristo, sono chiamati a collaborare attivamente alla crescita del Popolo di Dio nella verità e nell'amore. Tutti – «quanti hanno ricevuto, con la successione episcopale, uno specifica carisma di verità»3, presbiteri e fedeli –, nella misura delle proprie possibilità e dei particolari carismi, devono, poter partecipare all'elaborazione concettuale e alla formulazione del messaggio cristiano, nonché alla scoperta degli elementi atti ad illuminare le stesse situazioni storiche di questo mondo mutevole.

Ci sono verità cui è necessario aderire; ma le stesse formulazioni dottrinali e le scelte pratiche della gerarchia sono maturate grazie anche al contributo dell'intero Popolo di Dio, il cui sensus fidei e la carità sono suscitati e alimentati dallo Spirito di Cristo4.

Del resto, molte notizie interessano la vita ecclesiale, che, come ogni vita, è movimento e dinamismo. Gli eventi vi si succedono, segnati dall'attività di tutto il Popolo di Dio – laici, religiosi e presbiteri intorno ai propri vescovi –; e la diffusione di queste notizie, l'interesse che riscuotono, sono fattori rilevanti dell'opinione pubblica nella Chiesa.

Inoltre, la vita pratica della Chiesa dipende da dati di fatto che sfuggono al suo influsso, la valutazione dei quali richiede un'attenzione seria e costante. Pure qui l'opinione pubblica può apportare un aiuto insostituibile, facendo luce su situazioni la cui conoscenza giunge alla gerarchia ecclesiastica principalmente per tramite dei laici impegnati nelle attività temporali.

Tuttavia, come si misconoscerebbe gravemente la Chiesa se la si riducesse tutta a leggi ed obblighi, ad autorità e disciplina, ad organizzazioni ed unità – il che renderebbe contraddittoria in termini l'espressione «opinione pubblica nella Chiesa» –; così errerebbe chi, magari tra i suoi figli, partisse dal diritto e dalla necessità di siffatta opinione pubblica per giustificare indiscriminatamente qualsiasi opinione e qualsiasi corrente di idee.

In verità, c'è un «dato» fondamentale che nella Chiesa condiziona la formazione e l'incremento, il punto di partenza e quello di arrivo, di opinioni sane – pubbliche o no – nella Chiesa: ed è il deposito della fede e della legge morale divina contenuto nella Tradizione e nella Sacra Scrittura, autenticamente interpretate dal magistero vivo – non necessariamente solenne – della Chiesa, «la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo»5.

Né vanno trascurati altri elementi, quali le norme disciplinari impartite dalla competente autorità ecclesiastica, pur potendosi ammettere che, in questo caso, – fermo restando il dovere dell'ubbidienza – la questione di eventuali modificazioni si ponga in termini diversi dal caso precedente.

Ciò posto – come il Santo Padre rilevava nell'enciclica «Ecclesiam suam»6 – non c'è alcuna difficoltà ad «improntare i rapporti interiori della Chiesa dello spirito proprio di un dialogo tra i membri di una comunità, di cui la carità è principio costitutivo», e che «non toglie l'esercizio della virtù dell'obbedienza». Infatti «I'obbedienza muove da motivo di fede, diventa scuola di umiltà evangelica, associa l'obbediente alla sapienza, all'unità, all'edificazione, alla carità che reggano il corpo ecclesiastico, e conferisce a chi la impone e a chi vi si uniforma il merito della imitazione di Cristo "fattosi obbediente sino alla morte" (Fil 2,8)». Mentre, ai contrario, «Io spirito di indipendenza, di critica, di ribellione male si accorda con la carità animatrice della solidarietà, della concordia, della pace nella Chiesa; e trasforma facilmente il dialogo in discussione, in diverbio, in dissidio»7.

Avviene perciò che il problema delle opinioni pubbliche rette, di cui tratta il decreto conciliare «Inter mirifica»8 – e che, in seno al Popolo di Dio, si pone in termini analoghi rispetto alla società civile –, si risolverà correttamente nella Chiesa soltanto se, da una parte, i movimenti d'idee s'integreranno vitalmente agli insegnamenti dottrinali ed alle norme pratiche della gerarchia; e se, dall'altra, saranno atti a contribuire coerentemente ad una autentica crescita vitale del Popolo di Dio.

Come il bene e la verità non sono ostacoli alla intelligenza ed alla libertà dell'uomo, ma condizione e termine del loro sviluppo, cosi i limiti che l'opinione pubblica trova nella Chiesa non sono affatto interferenze arbitrarie e dannose, ma, al contrario, ne garantiscono la rettitudine e l'utilità. Non sarebbe nel giusto chi concepisse l'opinione pubblica nella Chiesa come concorrenziale rispetto al magistero ed alle direttive della gerarchia.

La presenza fattuale di correnti d'idee circa il dogma, i principi morali, come pure la disciplina e la condotta morale; ed anche la presenza di gruppi e di organi di opinione per quanto dinamici ed efficaci essi siano: in sé non costituiscono criterio di rettitudine e di verità9. Anche nel Popolo di Dio, il loglio può crescere insieme al buon grano (Mt 13,24-29). Perciò, anche circa l'opinione pubblica occorre saper distinguere: «Provate tutto: ritenete ciò che è buono» (1Tess 5,21).

Entro questo quadro, c'è posto in seno al Popolo di Dio, per una legittima pluralità di opinioni, pubbliche o no. Data la Iimitatezza della nostra natura, si potrebbe affermare che il pluralismo è un'esigenza della inesauribile ricchezza della verità; inoltre, esso si fonda sul fatto che le questioni dottrinali sono spesso oscure e difficili e che è lecitamente possibile applicare diversamente, in concreto, certi principi. Perciò la rettitudine delle opinioni non è di ostacolo al legittimo pluralismo. Questo però deve contribuire ad una maggiore rettitudine, in crescente conformità al vero ed al bene oggettivi. Siffatta funzione è insieme limite e garanzia della sua legittimità; anzi il pluralismo tanto sarà più legittimo quanto più contribuirà a questo fine.

Fuori di questo quadro possono, sì, esistere opinioni nella Chiesa, pubbliche o no, ma difficilmente potrebbero dirsi sane, rette o legittime. Soprattutto nel caso di opinioni che intaccassero l'integrità del dogma e dei principi morali, si dovrà con dolore riconoscere che non si tratta più di quell'opinione pubblica di cui la Chiesa «ha bisogno... per alimentare il dialogo tra le diverse sue membra: condizione di progresso del suo pensiero e della sua azione»10. Al contrario, ci si dovrà chiedere se, in questo caso, si possa ancora parlare di opinione pubblica nella Chiesa, o se, piuttosto, si debba parlare di opinioni che, per il loro contenuto, si pongono da se stesse fuori della vera Chiesa di Cristo.

Inoltre, rispetto a certe opinioni in sé legittime, impegno e franchezza nell'esprimerle debbono accompagnarsi alla prudenza cristiana11. Se è bene affermare che «l'informazione ormai universalmente riconosciuta quale diritto universale inviolabile ed inalienabile»12, sicché ciascuno possa assumere le proprie responsabilità anche «nella vita della Chiesa»13; è ugualmente necessario ricordare che con ciò non si misconosce affatto la necessità di rispettare legittimi spazi di segretezza e di discrezione, né la delicatezza indispensabile alla protezione dovuta alle persone e alle coscienze»14.

Voi sapete bene, cari giornalisti, che la vostra missione d'informatori e, perciò, il vostro diritto a ricercare ed a ricevere le notizie alle fonti, non vi costituiscono detentori primi ed esclusivi di questo diritto: voi infatti siete al servizio di un diritto, che non è solo d'informazione, ma di formazione: e che appartiene a tutti i fedeli.

Di qui la necessità – bisogna pure avere il coraggio di ammetterlo – di eventuali scelte nelle notizie in ogni caso: di una giusta presentazione di esse; di un maggior spazio da concedere alle notizie positive e costruttive; e, infine, di una forte capacità inventiva per conferire l'impatto di «notizia» al bene, a ciò che è conforme alla virtù, a ciò che guida e costruisce.

Certamente nella piena consapevolezza di questi elementi, nel vostro Congresso voi studierete, sotto l'aspetto professionale, i problemi dell'opinione pubblica nella Chiesa: se e come la stampa neutra influisca su questa opinione; se e come la stampa cattolica rappresenti le opinioni del Popolo di Dio; il fenomeno dei «tascabili», i quali, ponendosi tra il libro ed il periodico, in questi ultimi tempi si sono inseriti tra gli strumenti di comunicazione sociale, esercitando un influsso rilevante nelle correnti postconciliari.

È vostro compito approfondire sotto tutti i loro aspetti, con responsabilità e libertà, l'insieme di questi elementi. Ciò permetterà di segnalare, nel dialogo fiducioso che la gerarchia si augura, le situazioni di fatto da voi vissute nell'esercizio della vostra professione. Anche se i problemi dell'opinione pubblica nella Chiesa abbisognano dell'apporto di altre scienze – quali la sociologia e la psicologia –, ed anche se è compito dei vescovi integrare tutti questi dati in una coerente visione teologica e pastorale, necessaria per assolvere la loro missione di guide spirituali del Popolo di Dio: il vostro contributo sarà bene accetto, e vi meriterà una più larga fiducia.

Prima di concludere, che sia permesso indirizzarvi un appello particolare in favore dei paesi meno provvisti di personale specializzato e di mezzi materiali, e dove alla Chiesa urge poter disporre di organi di stampa i quali, all'interno fortifichino la vita delle comunità ed illuminino nella propria missione i membri, ed all'esterno facciano sentire una loro voce. La vostra parola e la vostra penna non frustrino mai – sfoggiando una critica corrosiva e demolitrice delle certezze della fede, seminatrice di divisioni – le aspirazioni buone e generose delle giovani cristianità. Al contrario: apportate il vostro generoso e fraterno aiuto tecnico e finanziario a sostegno della loro stampa ed alla formazione dei loro giornalisti.

Il Santo Padre, fidando nel vostro leale impegno nel servire la verità con la testimonianza aperta della vostra fede e della vostra condotta cristiana, invoca sulle vostre assise la luce di Dio, ed il suo efficace soccorso all'assolvimento della vostra professione. [...].

 

 

1 Paolo VI, Discorso «Grande soddisfazione» (1970).

3 Concilio Vaticano II, Costituzione «Dei verbum», n. 8.

5 Concilio Vaticano II, Costituzione «Dei verbum», n. 10.

6 Paolo VI, Enciclica «Ecclesiam suam» (1964).

7 Paolo VI, Enciclica «Ecclesiam suam» (1964).

8 Concilio Vaticano II, Decreto «Inter mirifica» (1963), art. 8.

9 Paolo VI, Esortazione apostolica «Quinque iam anni» (1970).

10 Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, Istruzione pastorale «Communio et progressio» (1971), n. 115.

11 Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, Istruzione pastorale «Communio et progressio» (1971), n. 118.

12 Paolo VI, Discorso «Nous vous remercions» (1964).

13 Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, Istruzione pastorale «Communio et progressio» (1971), n. 119.

14 Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, Istruzione pastorale «Communio et progressio» (1971), n. 121.

 

 

FonteL'Osservatore Romano, 15 luglio 1971. - La traduzione italiana di E. Baragli.