«È una delle necessità del nostro tempo — scrive Pio XI nella enciclica «Vigilanti Cura», del 29 giugno 1936 — vigilare e lavorare perché il cinematografo non sia più scuola di corruzione, ma si trasformi anzi in prezioso strumento di educazione e di elevazione dell'umanità».
Questa vigilanza e questa cura – più volte raccomandate dal Sommo Pontefice felicemente regnante – hanno ottimamente esercitato sia la Pontificia Commissione per la Cinematografia, organo della Santa Sede per lo studio dei problemi cinematografici che hanno attinenza con la fede e la morale, sia l'episcopato cattolico e il clero secolare e religioso, che hanno seguito e seguono con vigilante cura il grave problema del cinematografo. Esso «fra i divertimenti moderni, ha preso un posto d'importanza universale», ed è ormai divenuto una esigenza fortemente sentita non solo dalle popolazioni dei grandi agglomerati urbani, ma anche dei minori centri rurali.
Frutto concreto dell'interesse dell'episcopato e del clero per i problemi del cinema sono le numerose esortazioni e norme emanate dall'autorità ecclesiastica nei diversi paesi e il moltiplicarsi delle iniziative intese a salvaguardare gli interessi spirituali dei fedeli e ad esercitare un'influenza moralizzatrice nel campo dell'industria cinematografica. Particolare menzione meritano in proposito le sale cinematografiche rette – sovente con gravi sacrifici – da sacerdoti o religiosi in cura d'anime o in esercizio di apostolati specifici, educativi e sociali, che non solo assicurano un sano divertimento al popolo e, in particolare, alla gioventù, ma sono spesso uno strumento efficace di formazione e di elevazione umana e religiosa.
Non mancano, tuttavia, inconvenienti determinati soprattutto dalle reali difficoltà cui vanno incontro i gestori di sale cattoliche, e per la scarsità di film moralmente sani, e per gli oneri finanziari che i predetti gestori devono sostenere. Difficoltà, queste, che, evidentemente, anche se sensibili, non potranno giustificare mai la proiezione in una sala cattolica di film che non siano moralmente ineccepibili.
Molte di queste difficoltà trovarono e trovano certamente soluzione adeguata nelle parole di Pio XI nella citata enciclica: «Mediante l'organizzazione di tali sale (cattoliche), che per l'industria rappresentano spesso dei buoni clienti, si può rivendicare un nuovo diritto, quello cioè che la stessa industria produca film corrispondenti pienamente ai nostri principi, i quali saranno poi facilmente proiettati non soltanto nelle sale cattoliche, ma anche nelle altre».
In esecuzione di tali direttive sono state organizzate e si stanno organizzando, nelle diverse nazioni, in perfetta armonia con le esigenze dell'apostolato in questo campo, delle associazioni nazionali cattoliche di esercenti cinematografici, con il preciso compito di rappresentare gli interessi morali e materiali delle sale cattoliche presso l'autorità civile, di difenderne i diritti nei confronti di altre associazioni, di assisterle nel campo legale, amministrativo e fiscale. Quanto sia conveniente, per non dire necessario, che le sale cattoliche aderiscano a simili organizzazioni – come del resto è stato più volte sottolineato dall'autorità ecclesiastica – non ha bisogno di essere illustrato.
L'enciclica «Vigilanti Cura» dispone, inoltre, «che in ogni paese i vescovi creino un ufficio permanente nazionale di revisione, che possa promuovere i buoni film, classificare gli altri e far giungere questo giudizio ai sacerdoti e ai fedeli».
I giudizi emanati dagli uffici nazionali di revisione devono essere normativi per tutti e ad essi devono attenersi i fedeli, sia per evitare occasioni di peccato e di scandalo, sia per prendere posizione contra i film immorali, inducendo in tal modo le case cinematografiche a migliorare la loro produzione.
Ove si pensi, ora, al numero degli istituti religiosi che si prefiggono come scopo proprio, sancito dalle costituzioni approvate dalla Santa Sede, l'apostolato nel settore cinematografico, non solo mediante la proiezione e la distribuzione di film moralmente sani, ma anche a mezzo della loro produzione, si rileverà facilmente quanta parte abbiano i religiosi, de iure e de facto, nell'apostolato che nell'orbe cattolico si svolge nel campo cinematografico.
Se, poi, si considera l'opera che svolgono i religiosi e le religiose dediti all'insegnamento, all'assistenza, alla educazione, alla rieducazione e a tutte le altre forme di apostolato, apparirà evidente che essi, sempre in modo crescente, sebbene in forma indiretta, vengono posti a contatto col mondo del cinema.
Oltre alle parrocchie affidate ai religiosi, il problema dell'apostolato a mezzo del cinema si presenta anche alle associazioni che gli istituti religiosi, maschili e femminili, organizzano e reggono, per la gioventù, in tutti i paesi.
Né sono diversi i dati di fatto: risulta, invero, a questa Sacra Congregazione dei Religiosi che una parte assai rilevante delle sale cinematografiche cattoliche esistenti nelle diverse nazioni viene gestita da persone dipendenti da questo Sacro Dicastero. In Italia, ad esempio, in base a precise informazioni, su circa 4.000 sale cinematografiche dipendenti o controllate dall'autorità ecclesiastica, oltre la metà appartengono a religiosi o religiose (8.000 circa sono le sale industriali).
Allo scopo quindi di provvedere più adeguatamente alle complesse e urgenti necessità di questo settore dell'apostolato religioso, convinta della grande portata educativa del cinema, quale sussidio apostolico positivo (di formazione umana e cristiana) e negativo (di preservazione), questa Sacra Congregazione dei Religiosi ha giudicato opportuno, con la presente istruzione indirizzata ai rev.mi superiori generali e alle rev.me superiore generali degli istituti religiosi che, direttamente o indirettamente, svolgono questo apostolato, stabilire, per quanto riguarda la sua competenza, quanto segue:
1. Poiché l'esercizio pubblico di sale cinematografiche costituisce attività commerciale ai sensi del Codex iuris canonici (cc. 142, 592, 2380) e del decreto De vetita clericis et religiosis negotiatione et mercatura, del 22 marzo 1950 (A.A.S., 42 [1950], n. 330), i religiosi che intendono aprire una sala devono richiedere il permesso (nulla osta) della Santa Sede (Sacra Congregazione dei Religiosi), necessario per rimuovere l'impedimento canonico posto dallo stesso diritto, sotto la comrninazione di pene canoniche.
2. Si considera esercizio pubblico ai sensi della presente istruzione, l'esercizio – svolto da religiosi per sé o per altri (c. 142) – di una sala cinematografica nel quale concorra e la destinazione pubblica degli spettacoli e lo svolgimento di una qualsiasi attività lucrativa.
3. Non si richiede nessun permesso della Santa Sede (c. 7) (Sacra Congregazione dei Religiosi in casu) allorché trattasi di esercizio privato della sala, ovvero quando le rappresentazioni cinematografiche non siano destinate al pubblico, o l'accesso alla sala sia a titolo gratuito.
4. La Sacra Congregazione dei Religiosi, nel rilasciare il nulla osta, ascolterà, secondo i casi, il parere della Pontificia Commissione per la cinematografia, organo della Santa Sede per lo studio dei problemi cinematografici che hanno attinenza con la fede e con la morale.
5. Rimosso l'impedimento canonico, di cui al n. 1, l'istituto religioso diviene capace di svolgere tale attività e l'attività svolta è, per conseguenza, legittima.
6. A decidere, in seguito, sulla opportunità dell'apertura della sala al pubblico, tenute presenti le circostanze di luogo, di persona e di ambiente, dovranno concorrere il nulla osta dell'ordinario del luogo in cui la sala viene aperta e quello del superiore maggiore religioso.
7. Si ricorda che, in base ai principi canonici, le norme emanate dagli ecc.mi ordinari diocesani per il settore dell'apostolato cinematografico, in quanto tocchino la fede, la morale o l'ordine pubblico, vincolano i religiosi, anche esenti, che gestiscono sale cinematografiche aperte al pubblico.
8. Il titolare della licenza per una sala gestita da religiosi può essere solamente il superiore della casa, cui la sala è annessa o comunque dipendente, il parroco religioso, o un loro delegato; mai un laico.
9. Non è consentita, se non come rarissima eccezione, opportunamente provata, la cessione temporanea o definitiva della gestione di una sala (religiosa) a privati. Il nulla osta, di cui al n. 1, non comporta mai questo permesso.
10. I gestori sono, in coscienza, obbligati a vigilare attentamente durante gli spettacoli per ovviare a pericoli e a inconvenienti di qualsiasi natura.
11. La programmazione degli spettacoli spetta esclusivamente al titolare della licenza, che ne è sempre responsabile, anche se si serve di coadiutori laici.
12. I film da proiettarsi potranno essere scelti solo tra quelli dichiarati per tutti dall'ufficio permanente nazionale di revisione, ed eccezionalmente, tra quelli giudicati per adulti, con opportune correzioni, secondo i criteri impartiti dall'ordinario.
13. In nessun caso potrà ammettersi la proiezione di film giudicati dal competente ufficio nazionale di revisione: Per adulti con riserva, sconsigliabili ed esclusi.
14. Si eviti l'esposizione di manifesti pubblicitari o cartelloni sulle facciate o presso l'ingresso della Chiesa.
In relazione alla particolare situazione oggi esistente in Italia, questa Sacra Congregazione dei Religiosi precisa e dispone quanto appresso:
1. È esercizio pubblico di sale cinematografiche, e quindi attività commerciale, in senso canonico, non solo quello che i religiosi, per sé o per altri (c. 142), svolgono sulla base della licenza industriale, ma anche della così detta licenza parrocchiale.
2. Il titolo di licenza parrocchiale – in Italia e per gli effetti civili – indica il permesso che deve accordare l'autorità civile, in base al quale le sale cattoliche esistenti nelle parrocchie e anche negli oratori, collegi, associazioni, istituti ecc., in qualunque modo dipendenti o controllate dall'autorità ecclesiastica, possono legittimamente essere aperte al pubblico.
3. Soltanto come rarissima eccezione, pienamente giustificata e nei singoli casi comprovata, la Sacra Congregazione dei Religiosi potrebbe rilasciare il nulla osta per la licenza industriale. Infatti, sarebbe assai difficile, in questi casi, ravvisare una causa motiva sufficiente.
4. È chiaro nella licenza parrocchiale lo scopo apostolico, mentre per la licenza industriale il motivo di apostolato viene sovente compromesso dall'interesse economico. Ora, il lucro non può essere preso in considerazione come causa motiva, anche ,se gli introiti sono devoluti ad opere di bene. Si deve, d'altra parte, assolutamente evitare ogni forma di concorrenza commerciale tra istituti religiosi ed esercenti cinematografici industriali.
5. L'ufficio permanente nazionale di revisione per l'Italia é il Centro Cattolico Cinematografico.
6. L'associazione nazionale che in Italia rappresenta e tutela gli interessi delle sale cinematografiche dipendenti o controllate dall'autorità ecclesiastica, è l'Associazione Cattolica Esercenti Cinema (ACEC).
Fonte: Le cinéma dans l'enseignement de l'Église, Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano, 1955, pp. 96-100