08 maggio 2018

Galtung: Papa Francesco dà forza al giornalismo di pace

Intervista al prof. Johan Galtung, "ideatore" negli anni '60 del giornalismo di pace, sul Messaggio di Papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, "La verità vi farà liberi: fake news e giornalismo di pace".

Alessandro Gisotti – Città del Vaticano

 

Nel 1960 ha “inventato” la formula giornalismo di pace. Oggi, ad 87 anni, Johan Galtung, norvegese di nascita ma cittadino del mondo, è considerato uno degli intellettuali più significativi del nostro tempo e riconosciuto come il fondatore dei moderni studi sulla pace. Ha insegnato in alcune delle università più importanti al mondo ed è consulente di diversi organismi delle Nazioni Unite. Nel 1998 ha fondato Transcend, un’organizzazione a livello mondiale finalizzata a formare la pratica della trasformazione nonviolenta dei conflitti. In questa intervista con Vatican News, il prof. Johan Galtung parla dell’attualità del giornalismo di pace e del grande sostegno offerto da Papa Francesco a questo impegno con il suo ultimo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.

 

Prof. Galtung, storicamente, è stato proprio lei a lanciare il concetto di “giornalismo di pace”, negli anni Sessanta … Come è nata questa idea?

R. – È venuta semplicemente studiando le notizie, e questo proprio nel 1960, quando si parlava di Cuba e del Congo. Io studiavo, analizzavo i quotidiani norvegesi per capire come trattavano queste notizie. E, detto in breve, potremmo dire che arrivai, all’epoca, a quattro conclusioni: le notizie dovevano essere negative, dovevano avere qualcosa a che fare con la guerra e con la violenza, dovevano essere rivolte all’esterno, non strutturate, doveva esserci qualcuno a cui dare la colpa – aspetto molto importante – e, infine, doveva riguardare altri Paesi, Paesi importanti e in particolare personaggi importanti nei Paesi importanti. Ecco, prendiamo un evento qualsiasi e vediamo se corrisponde a uno o a tutti questi quattro criteri: a questo punto, è facile che diventi notizia.

Sono passati 60 anni da allora. Cosa significa per lei, oggi, “giornalismo di pace”?

R. – Vede, nel frattempo ho lavorato molto sul concetto di pace e quindi per me c’è una distinzione tra la pace “positiva” e la pace “negativa”. Infatti, il giornalismo di pace si divide in due: il giornalismo di pace “negativo”, che cerca di trovare soluzioni a conflitti al fine di ridurre la violenza; e il giornalismo di pace “positivo”, che vuole esplorare la possibilità di una maggiore cooperazione positiva. In altre parole, il primo si concentra sull’aspetto negativo e il secondo su quello positivo.

Come lei sa, Papa Francesco ha dedicato il Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali 2018 al “giornalismo di pace”.  Che importanza riveste per lei questa presa di posizione del Papa?

R. – Riconosco nel Papa una delle maggiori figure positive del nostro tempo e ovviamente sono profondamente colpito dalla sua presa di posizione nei riguardi di un concetto come il “giornalismo di pace”: trovo questo un suo fantastico sostegno! Sono un grande ammiratore di Papa Francesco e per me questo Messaggio è una grande spinta e un grande sostegno.

Nel suo messaggio, Papa Francesco afferma che “la pace è la vera notizia”. Perché per i mass media è così difficile fare informazione sulla pace? Perché sembrano interessati solamente alla guerra?

R. – Perché non sanno come scriverne, non sanno nemmeno come concettualizzarla la pace! C’è stato un caso indicativo in Danimarca: improvvisamente, si è iniziato a parlare di “riconciliazione”, di riconciliazione nei riguardi di eventi importanti verificatisi in Danimarca nel passato e dei quali i giornalisti non avevano scritto nulla… perché non ne avevano nemmeno il concetto!

Quindi, è fondamentale educare, formare i giovani giornalisti …

R. – Lei ha messo il dito nella piaga: il tutto inizia proprio dall’educazione dei giornalisti, e questo significa che stiamo parlando dello studio del giornalismo o delle scuole di giornalismo. Un tempo ero professore di sociologia alla Columbia University a New York. Nella loro scuola di giornalismo davano per scontato che il modo in cui essi lo facevano fosse perfetto e non avevano idea di quello che io chiamo “giornalismo positivo”. La scuola di giornalismo della Columbia University ha posto le linee guida per gli Stati Uniti e gli Stati Uniti indicano la strada per il giornalismo di gran parte del resto del mondo. Quindi, era importante introdurre il “giornalismo di pace”.