Lettera al mons. Jean Bernard, presidente OCIC

Paolo VI, Segreteria di Steto, 9 giugno 1964

 

L'attualità di questo tema di studio é evidente: gli «esercenti» costituiscono la categoria professionale più numerosa del mondo cinematografico e non si può ignorare che essi si trovino attualmente di fronte ad una serie di problemi economici e morali di difficile soluzione.

Per assicurare il buon funzionamento delle loro sale, essi devono prima di tutto sapersi adattare alle situazioni locali e all'evoluzione generale del modo di vivere del pubblico, tener conto della concorrenza, dello sviluppo della televisione e, soprattutto, far fronte ai sistemi commerciali, che – senza tener sempre conto delle esigenze della legge morale – regolano la distribuzione dei film.

La convinzione che egli non è mai un semplice commerciante, deve sostenere ed incoraggiare l'esercente tra queste difficoltà. Lo rilevò bene Pio XII nella «Miranda Prorsus»: «il film, egli affermava, non può essere considerato semplice merce, ma soprattutto un nutrimento intellettuale e una scuola di formazione spirituale e morale»1. È questo aspetto, evidentemente, che conferisce alla professione dell'esercente cinematografico la sua funzione sociale e la sua dignità. Se egli poi è anche cristiano, l'esercizio della sua professione acquista una nuova dimensione: quella di un servizio da rendere ai suoi fratelli in Cristo, offrendo loro, con uno spettacolo scelto giudiziosamente, non solo una possibilità di distensione, ma anche di arricchimento culturale e di elevazione umana e spirituale.

Oltre le difficoltà d'ordine tecnico e commerciale, l'esercente deve anche affrontare, per quanto lo riguarda, il problema di fondo del cinema contemporaneo: quello della crisi morale ed ideologica che attualmente sta attraversando. In questo settore ogni esercente, preso individualmente, non ha che un'influenza limitata. Egli deve tuttavia esercitarla con coraggio, specialmente mediante gli accordi che prende con i distributori o con i produttori, ed inoltre col controllo sulla pubblicità della sua sala; sull'ambiente accogliente e degno che deve caratterizzarla e sul rigoroso criterio che deve essere applicato nell'ammissione dei minori. E se l'altezza del compito va oltre le possibilità individuali, spetterà alle associazioni professionali affrontarlo con maggior efficacia. Il Decreto conciliare sugli Strumenti della comunicazione sociale raccomanda che a queste associazioni venga dato il più largo appoggio2. Ad esse infatti spetta, per l'onore della professione, di porre «un argine al preoccupante dilagare di ogni forma di licenza ed immoralità» denunciata, ancora recentemente, dal Sommo Pontefice3.

In questo arduo compito, gli esercenti debbono poter contare non soltanto sulla collaborazione del clero parrocchiale e delle associazioni cattoliche, ma anche sulI'appoggio leale e costante dello spettatore cattolico guidato dalla rettitudine di una coscienza ben formata, e sulla collaborazione del critico cinematografico cristiano, sensibile alla gerarchia dei valori umani. Essi possono essere inoltre sicuri di trovare sempre appoggio e comprensione presso gli Uffici Cattolici Nazionali, istituiti in tutti i paesi dagli episcopati locali per coordinare le iniziative dei diversi settori dell'apostolato nel campo del cinema.

Occorre rilevare che l'appoggio dato dalla Chiesa alle associazioni degli esercenti cattolici cinematografici non si oppone affatto allo sviluppo – egualmente raccomandato dalle encicliche pontificie – delle sale cinematografiche dipendenti dalle parrocchie o da enti religiosi4. L'attività di queste sale è regolata, escluso ogni interesse commerciale, da particolari norme di selezione morale. Il citato Decreto conciliare rivendica alla Chiesa, in questo campo «un diritto nativo di usare e di possedere questi diversi strumenti, nella misura in cui essi siano necessari o utili alla formazione cristiana»5. E, infine, è proprio tutto il cinema che beneficerà, a lunga scadenza, di questo sforzo fatto dalla Chiesa per educare i giovani spettatori e per abituarli ad apprezzare i film di un autentico valore spirituale e morale.

Le giornate di Venezia, favorendo l'incontro dei dirigenti degli Uffici Nazionali con i responsabili dell'esercizio cinematografico, potranno stabilire un nuovo punto di partenza per una collaborazione benefica e fruttuosa. Questo è l'augurio che si compiace di formulare il Sommo Pontefice, il quale segue ormai da lungo tempo con interesse l'attività dello OCIC e, in questa circostanza, si compiace di rinnovare il suo incoraggiamento al benemerito organismo da lei presieduto con tanto zelo.

 

1 Pio XII, Enciclica «Miranda prorsus» (1957).

2 Concilio Vaticano II, Decreto «Inter mirifica» (1963), art. 14.

3 Paolo VI, Discorso «Abbiamo accolto» (1964), 23.

4 Cfr. Pio XI, Lettera enciclica «Casti Connubii» (1930); Lettera apostolica «Con singolare compiacenza» (1939); Congregazione dei Religiosi, Istruzione sull'apostolato del cinema (1953); Pontificia Commissione per la Cinematografia, Lettera ai vescovi italiani (1953); Pio XII, Lettera enciclica «Miranda prorsus» (1957); Giovanni XXIII, Lettera all'Associazione Cattolica Esercenti Cinema (1959); Giovanni XXIII, Primo Sinodo Romano (1960).

5 Concilio Vaticano II, Decreto «Inter mirifica» (1963), art. 3.

 

FonteBollettino d'informazione, 1964, n. 72, pp. 26 ss.