Discorso al 1° Convegno dell'ACEC

Giovanni XXIII, 27 ottobre 1959

 

[...] Nei passati decenni si sentiva spesso ripetere una precisa sentenza: è compito dei cattolici il farsi trovare sul posto. Per varie attività l'insegnamento è valso; in più di un caso e un più di un paese si è stati presenti, ma, purtroppo, non senza qualche eccezione. Certo, in queste manifestazioni dell’arte cinematografica, in questa figurazione nuova della realtà – ma che, in sostanza, non è se non una specie di sforzo per esprimere gli ideali della vita e la sua realtà – siamo giunti, e non certo per ultimi: anzi, in genere, abbastanza bene e sollecitamente. V'è quindi da felicitarsi per essere arrivati, anziché dolersi di non essere riusciti ad entrare subito in questo campo.

Ben si comprende come la Provvidenza abbia guidato sin dagli inizi facendo vincere difficoltà derivanti da vari ostacoli e anche dalle esperienze degli altri; e, inoltre, aiutando a superare quel senso di non lieve timore che, in un primo momento, teneva i cattolici piuttosto lontani dal lasciarsi nell'impiego delle risorse moderne per divertire e distrarre in una forma, la quale non facesse perdere la visione dei principi e dell' essenziale.

Siamo, dunque, a buon punto. L'esperienza acquisita autorizza a pensare che non ci si arresterà nella via percorsa e che si proseguirà con animo risoluto, – anche se con discrezione e tranquillità, come deve essere nostro sistema, – ma nulla omettendo di ciò che possa lasciar scorgere sia pure un piccolo raggio di luce cristiana per servircene ad illuminare le anime ed accenderle per i più alti intenti.

Allorché si sente parlare – proseguiva il Santo Padre – di «Chiesa e cinema», si pensa naturalmente a un binomio il quale indica due porte ben distinte. Da un lato qualche cosa di antico, ma sempre attuale, dall'altro lato qualche cosa di assai moderno. Ora non bisogna dimenticare che, se talvolta le cose vanno bene se associate, tal altra le cose bene associate sono quelle che sanno dissociarsi per bene: vale a dire che non sopportano il nascere di confusioni. È logico, infatti, che il ricordato accostamento fa legittimamente supporre il danno di sostituire alla Chiesa il cinema, oppure il pericolo che il secondo possa annullare o quasi i beni spirituali procurati dalla prima, presentando il cinema qualche cosa in cui non tutto è purificato, distillato come manifestazione di verità. Questa è la ragione per cui al fervore occorre associare il buon giudizio: e cioè agire in maniera da non trarre alcuno a fare confusioni e a credere che possa esservi tra noi, nell'ambito del nostro insegnamento ed apostolato, anche il più piccolo compromesso. Senza dimenticare che, sovente, si può divenire oggetto di spunti malevoli, i quali tendono a fiaccare la retta volontà e lo spirito del buon apostolato.

Di conseguenza: prima di ogni altra cosa, tenere presente il rispetto della verità e della bontà; a ciò subordinando quello che noi intendiamo per veramente utile e dilettevole. Seguire, inoltre, sempre la giusta via. Quanto alle critiche, tenersi costantemente in grado di poter rispondere: facciamo quanto è nelle nostre possibilità, cercando, con tutte le forze, di meritare la fiducia riposta in noi [...]

 

Fonte: Sintesi in L'Osservatore Romano, 31 ottobre 1959, p. 1.